Come è noto, con riguardo all’accesso civico, oltre ai limiti individuati dall’art. 5-bis del d.lgs. n. 33/2013, è stato affermato che sono comunque inammissibili “richieste manifestamente onerose o sproporzionate e, cioè, tali da comportare un carico irragionevole di lavoro idoneo a interferire con il buon andamento della pubblica amministrazione; richieste massive uniche … contenenti un numero cospicuo di dati o di documenti, o richieste massive plurime, che pervengono in un arco temporale limitato e da parte dello stesso richiedente o da parte di più richiedenti ma comunque riconducibili ad uno stesso centro di interessi; richieste vessatorie o pretestuose, dettate dal solo intento emulativo, da valutarsi ovviamente in base a parametri oggettivi” (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sent. 2 aprile 2020, n. 10).
Applicando tali principi, il TAR Lazio, Latina, sez. II, nella sent. 15 maggio 2024, n. 346, ha ritenuto eccessivamente generica un’istanza di accesso civico con cui un cittadino richiedeva l’ostensione di tutti i documenti (istruttorie, pareri, corrispondenza intercorsa tra i vari uffici interessati, delibere e provvedimenti vari) con cui l’Ente Locale aveva disciplinato la viabilità di una determina strada comunale.
Secondo i giudici, benché finalizzata ad un controllo dell’attività amministrativa in relazione alla regolamentazione della viabilità di una via comunale e, pertanto, astrattamente rientrante nell’ambito applicativo dell’accesso generalizzato, l’istanza appariva formulata in termini del tutto generici tali che la sua evasione avrebbe richiesto all’Amministrazione un dispendio di energie e forza lavoro del tutto sproporzionate, richiedendo un’attività di ricerca, collazione ed elaborazione da parte degli uffici che è incompatibile con l’economicità e la tempestività dell’azione amministrativa.