Il fondo rischi contenzioso non può calcolarsi sui costi medi di affidamento di incarico al legale

Commisurare l’importo accantonato del fondo rischi contenzioso sulla base dei costi medi di affidamento di incarico al legale è una modalità non conforme a quanto prescritto dal § 5.2, lett. h), dell’All. 4/2 al Decreto Legislativo n. 118/2011, il quale impone di effettuare un congruo accantonamento di risorse al fondo rischi contenzioso ogniqualvolta l’ente abbia “significative probabilità di soccombere” in giudizio e, per l’effetto, di essere condannato al pagamento di spese: è quanto evidenziato dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. Marche, nella delib. n. 16/2024/PRSP, depositata lo scorso 15 febbraio, stigmatizzando l’operato del Comune che aveva commisurato l’accantonamento soltanto alle eventuali spese di patrocinio, oltretutto quantificate attraverso un inammissibile metodo forfettario (basato su non meglio precisati “costi medi”).

L’importo dell’accantonamento va modulato sia in funzione dell’entità del rischio di soccombenza, sia in funzione dell’ammontare potenziale degli oneri finanziari da sopportare per ottemperare o comunque dare esecuzione all’eventuale provvedimento giudiziario di condanna in caso di soccombenza integrale in giudizio. L’accantonamento va effettuato tanto per le controversie giudiziali, quanto per quelle stragiudiziali o anche soltanto in fieri (ossia non ancora processualmente sfociate nell’incardinazione di un giudizio, ma comunque potenzialmente foriere di passività o oneri latenti in caso di soccombenza).

Spetta all’OREF verificare la congruità degli accantonamenti.

I giudici marchigiani hanno richiamato anche il § 5.2, lett. h), dell’All. 4/2 cit., nella parte in cui precisa che “nel caso in cui il contenzioso nasce con riferimento ad una obbligazione già sorta, per la quale è stato già assunto l’impegno, si conserva l’impegno e non si effettua l’accantonamento per la parte già impegnata. L’accantonamento riguarda solo il rischio di maggiori spese legate al contenzioso”.

Dal canto suo, la giurisprudenza contabile (ex plurimis, Corte dei conti, sez. reg. di contr. Campania, delib. n. 125/2019/PRSP; sez. reg. di contr. Lazio, delib. n. 18/2020/PRSE) ha ulteriormente elaborato alcuni criteri metodologici di massima (da esplicitare nei documenti di accompagnamento allegati sia alla nota integrativa del bilancio che alla relazione sulla gestione al rendiconto: art. 11, comma 5, lett. a) e comma 6 d.lgs. n. 118/2011), cui l’Ente deve attenersi nel commisurare l’importo dell’accantonamento (anche in relazione ai contenziosi in fieri, cioè non ancora processualmente sfociati nell’incardinazione di un giudizio) e l’OREF nel vagliarne la congruità, ossia imponendo, in applicazione analogica dei principi contabili OIC n. 31 e IAS n. 37, l’accantonamento di un ammontare di risorse di importo almeno pari ad una quota degli oneri finanziari, potenzialmente derivanti da un’eventuale soccombenza processuale, percentualmente rapportata all’entità dell’indice di rischio di soccombenza di ciascun contenzioso, a tal fine classificandolo in “probabile” (con indice di rischio superiore al 51%), “possibile” (indice di rischio compreso tra il 10% ed il 50%) e “remoto” (indice di rischio inferiore al 10%) (Corte dei conti, sez. contr. Marche, delib. n. 15/2022/PRSP).

 

 

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