I piani di razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche (seconda parte)

Come ricordato recentemente dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. per la Campania, nella delib. n. 240/2023/VSG, con riferimento ai piani di razionalizzazione occorre individuare il contenuto minimo che ogni piano di razionalizzazione deve contenere per non restare limitato ad una mera logica di adempimento, ipotesi non coerente con l’obiettivo di conseguire la riduzione delle partecipazioni detenute.

Più precisamente, la lett. a) dell’art. 20, comma 2, del TUSP (Decreto Legislativo n. 175/2016), prevede l’eliminazione delle società e delle partecipazioni societarie non indispensabili al perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente: dunque, il legislatore ribadisce la necessità di dismettere quelle società che, pur coerenti con i fini istituzionali dell’Ente, non sono indispensabili al loro perseguimento. Il predicato dell’indispensabilità, legato alle partecipazioni coerenti con i fini istituzionali dell’ente, va quindi individuato sotto il profilo della indispensabilità dello strumento societario rispetto ad altre differenti forme organizzative o alla scelta di fondo tra internalizzazione ed esternalizzazione.

Il secondo criterio indicato dal legislatore per individuare le società soggette a processo di razionalizzazione è identificato con le “società che risultino prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti”. In presenza di società in cui si verifica tale presupposto normativo appare evidente che, con elevata probabilità, si tratta di società non efficiente, posto che il rapporto tra costi di amministrazione e costi di gestione non risulta equilibrato.

Va, comunque, osservato che il dato del numero degli amministratori potrebbe anche non essere decisivo, ad esempio in assenza di compenso (se l’ottica normativa è quella di razionalizzazione la spesa) o di amministratori cui siano attribuiti anche compiti operativi analoghi a quelli svolti dai dipendenti (per evitare l’assunzione di personale).

Il piano di razionalizzazione, pertanto, deve indicare il numero di amministratori e di dipendenti della società (e, per completezza di analisi, il costo dell’organo amministrativo e quello della forza lavoro impiegata). Inoltre, qualora tale numero non risulti in linea con la previsione normativa, fornire le eventuali giustificazioni che consentano di non procedere alla soppressione o alienazione della società partecipata (o al recesso).

Il terzo criterio indicato dal comma 2, dell’art. 20 cit., prevede l’eliminazione delle partecipazioni detenute in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società o da enti pubblici strumentali. Tale indicazione mira a colpire la proliferazione di organismi strumentali. Il confronto, pertanto, deve essere effettuato non solo con le altre partecipazioni societarie, ma anche con consorzi, aziende speciali, istituzioni o altri organismi strumentali dell’ente pubblico socio. In virtù del principio normativo, che impone l’eliminazione delle società “doppione”, è quindi necessario che il piano di razionalizzazione fornisca le dovute informazioni su tutte le funzioni esternalizzate dall’ente pubblico, sulle funzioni concretamente svolte e sulle ragioni dell’eventuale mantenimento.

La Magistratura contabile si è già pronunciata anche sul quarto criterio indicato, ossia quello del “fatturato medio nell’ultimo triennio” e ha affermato che il termine “fatturato” viene adoperato per indicare l’ammontare complessivo delle fatture emesse da un’azienda in un determinato esercizio. Esso, dunque, letteralmente corrisponde alla somma degli importi riportati nelle fatture registrate nell’esercizio e non coincide necessariamente con l’ammontare complessivo delle operazioni attive poste in essere nello stesso esercizio (Corte dei conti, sez. reg. di contr. Emilia Romagna, delib. n. 54/2017/PAR). Ad ogni modo, la sez. Emilia Romagna ha ritenuto che il predetto termine debba essere inteso quale ammontare complessivo dei ricavi da vendite e da prestazioni di servizio realizzati nell’esercizio, integrati degli altri ricavi e proventi conseguiti e al netto delle relative rettifiche. Si tratta, in sostanza, della grandezza risultante dai dati considerati nei nn. 1 e 5 della lettera A) dell’art. 2425 c.c., che, in contrapposizione ai costi dell’attività tipica (costi di produzione, spese commerciali, amministrative e generali), consente di determinare il risultato della “gestione caratteristica” dell’impresa.

Per le partecipazioni in società diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio d’interesse generale, il comma 2 dell’art. 20 prescrive che dette società non devono aver “prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti”.

Le coordinate sopra descritte sono poi state recepite all’interno della delibera n. 22/2018 della Sezione Autonomie, attraverso la quale sono state adottate apposite linee di indirizzo per la revisione ordinaria delle partecipazioni, con annesso il modello standard di atto di ricognizione e relativi esiti, cui si rimanda per l’adempimento, da parte degli Enti territoriali, delle disposizioni di cui all’art. 20 del d.lgs. n. 175/2016.

Da ultimo, si rammenta che gli obblighi di comunicazione dei piani di razionalizzazione e degli esiti derivanti dalla loro attuazione in favore della struttura di monitoraggio individuata presso il MEF (art. 15 TUSP) e delle competenti Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti sono funzionali allo svolgimento di “una forma di controllo successivo di legittimità-regolarità”, finalizzata a verificare la conformità del piano, ed i conseguenti atti esecutivi, alle prescrizioni contenute o richiamate negli artt. 20 e 24 TUSP (Corte dei conti, SS.RR. contr., delib. n. 19/2020/REF; Corte dei conti, SS.RR. in spec. comp., sent. 16/2019/EL), ed il cui esito negativo, anche se privo di effetti comminatori, può comunque stimolare interventi autocorrettivi da parte della stessa amministrazione (Corte conti, Sez. Aut., delib. n. 29/2019/FRG) oppure condurre, nei casi più gravi ed ove ne ricorrano i presupposti, alla segnalazione di possibili ipotesi di danno erariale ai competenti organi inquirenti (cfr. art. 52 c.g.c.)

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