La giurisdizione contabile e quella penale sono del tutto autonome tra loro

Il dipendente pubblico già condannato penalmente non può, in ragione di tale condanna, sottrarsi alla giurisdizione contabile, non essendo ravvisabile lesione del principio del ne bis in idem: è quanto ribadito dalla Corte dei conti, sez. giurisd. Toscana, nella sent. n. 278/2023, depositata lo scorso 8 settembre.

Come più volte statuito dalla giurisprudenza, la giurisdizione penale e quella contabile sono del tutto autonome tra loro (ex plurimis, sez. II centr., sent. n. 670/2018), “avuto riguardo alla constatazione che, quand’anche le fattispecie possano presentare profili fattuali comuni, rimangono comunque puntualmente differenziati i beni della vita tutelati, così come gli elementi costitutivi degli illeciti. Pertanto, la possibile concorrenza di molteplici giudizi innanzi a diverse giurisdizioni costituisce evenienza non qualificabile come disfunzionale, bensì come coerente con l’autonomia e la differenza ontologica e finalistica delle diverse azioni (Cass. S.U., sent. n. 8927 del 2014; Corte dei conti – Sez. III d’App., sent. n. 547/2017)” (così, da ultimo, sez. III centr., sent. n. 124/2023).

Ed infatti, l’azione di responsabilità amministrativa – che è di competenza esclusiva della Procura della Corte dei conti quale organo rappresentativo degli interessi dello Stato-Comunità – pur conservando la tradizionale funzione di perseguire il ripristino dell’alterato equilibrio patrimoniale tra l’ente pubblico danneggiato e l’autore del fatto illecito, che ha causato la lesione degli interessi della P.A., è venuta ad assumere nell’attuale ordinamento anche i ruoli essenziali di strumento di tutela dell’esigenza che le risorse finanziarie e patrimoniali pubbliche vengano utilizzate per il perseguimento, in maniera legittima, economica, efficiente ed efficace, delle finalità istituzionali della P.A., attraverso la deterrenza avverso eventuali comportamenti devianti rispetto a tali parametri (sez. App., Sicilia, sent. n.115/2015).

Ne consegue che il diritto azionato dal PM contabile, pur traendo origine dal medesimo fatto lesivo dei beni e degli interessi pubblici, non è identificabile, né del tutto sovrapponibile, tanto con l’azione del PM penale, quanto con l’ordinario diritto di credito (di natura civilistica) che la singola Amministrazione potrebbe direttamente far valere nei confronti del responsabile dell’evento dannoso (sez. III centr., sent. n. 124/2023).

In altri termini, mentre l’azione penale ha carattere afflittivo – sanzionatorio, quella amministrativo – contabile ha, invece, natura risarcitoria, sicché non è incentrata tanto sulla gravità dei fatti in sé e per sé considerati, quanto sull’entità dei danni cagionati all’erario pubblico; ne consegue che, anche quando prende le mosse dall’accertamento di fatti – reato in sede penale, l’azione erariale non costituisce la duplicazione di quella penale, non avendo né lo stesso petitum, né la medesima causa petendi, né lo stesso oggetto o la medesima finalità.

Nè la natura dell’azione di responsabilità amministrativo – contabile può essere ritenuta di tipo sanzionatorio – afflittivo, unicamente per la (presunta) manifesta sproporzione tra l’entità del fatto illecito ed il quantum preteso a titolo risarcitorio, giacché si tratta di una questione di merito, che attiene alla fondatezza (totale o parziale) della domanda, non all’astratta configurazione della fattispecie.

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