Il RUP che ha un legame parentale con il mandante del RTI aggiudicatario configura un’ipotesi di conflitto di interessi: è quanto evidenziato dall’ANAC, nella delib. n. 63/2023 dello scorso 8 febbraio.
Ed infatti, l’art. 42, comma 2, del Codice dei contratti pubblici (Decreto Legislativo n. 50/2016) richiama le ipotesi di astensione di cui all’art. 7 del DPR n. 62/2013 (Regolamento recante il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici), il quale prevede che “Il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi.”
Sul punto vale la pena richiamare anche l’art. 6 del citato DPR n. 62/2013 secondo il quale “Fermi restando gli obblighi di trasparenza previsti da leggi o regolamenti, il dipendente, all’atto dell’assegnazione all’ufficio, informa per iscritto il dirigente dell’ufficio di tutti i rapporti, diretti o indiretti, di collaborazione con soggetti privati in qualunque modo retribuiti che lo stesso abbia o abbia avuto negli ultimi tre anni, precisando: a) se in prima persona, o suoi parenti o affini entro il secondo grado, il coniuge o il convivente abbiano ancora rapporti finanziari con il soggetto con cui ha avuto i predetti rapporti di collaborazione”.
Le citate norme vanno lette alla luce delle nozioni civilistiche di parentela e affinità, in quanto vi è una unitarietà di fondo dell’ordinamento giuridico che consente di utilizzare nozioni e principii in modo trasversale, in assenza di una espressa deroga di settore.
In tal senso, l’art. 77 del codice civile dispone che “La legge non riconosce il vincolo di parentela oltre il sesto grado, salvo che per alcuni effetti specialmente determinati”; mentre secondo l’art. 78 c.c. “L’affinità è il vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge”.
Il codice civile, dunque, non stabilisce un limite di carattere generale per il vincolo di affinità, a differenza del rapporto di parentela.
Chiarita la distinzione (tra affinità e parentela), si osserva che la formulazione letterale adottata dall’art. 7 del DPR n. 62/2013 – e richiamata dall’art. 42, comma 2 del Codice dei contratti pubblici – non lascia dubbi in ordine alla volontà di distinguere concettualmente la nozione di parentela da quella di affinità: l’utilizzo della virgola rafforza la distinzione, mentre se il legislatore avesse voluto accomunare le due nozioni avrebbe presumibilmente adottato la congiunzione “e” tra le due fattispecie o avrebbe espressamente circoscritto la nozione civilistica di parentela.
Pertanto, seppur è nota la prassi di alcune stazioni appaltanti di limitare la rilevanza della parentela, variamente al 2°, 3° o 4° grado (con ciò riflettendo una certa confusione applicativa), sulla base della esposta interpretazione letterale-sistematica delle norme di riferimento, l’ANAC ritiene che la nozione di parentela rilevante ai sensi dell’art. 42 del Codice dei contratti pubblici includa i parenti fino al 6° grado, conseguendone un obbligo dichiarativo, ove il legame sussista.
Pertanto, nel caso di specie, secondo l’Autorità, l’aggiudicazione dell’affidamento e la sua successiva esecuzione erano state condotte in violazione dell’art. 42 del Codice, con conseguente rimessione alla valutazione della stazione appaltante l’adozione delle opportune iniziative, anche di autotutela, da porre in essere (cfr. Linee Guida ANAC n. 15, par. 9 e delibera ANAC n. 273/2022).