La mancata astensione del funzionario per conflitto di interessi comporta una illegittimità procedimentale che refluisce sulla validità dell’atto finale: è quanto evidenziato dal TAR Basilicata, sez. I, nella sent. 20 aprile 2022, n. 303, secondo cui l’illegittimità viene meno solo ove venga rigorosamente dimostrato dall’Amministrazione procedente che la situazione d’incompatibilità del funzionario non ha in alcun modo influenzato il contenuto del provvedimento facendolo divergere con il fine di interesse pubblico (Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 22 marzo 2022, n. 2069).
Nel caso specifico un funzionario comunale aveva rigettato un’istanza di un’associazione locale volta ad ottenere “il numero di attribuzione di un certificato di agibilità”, nonostante lo stesso funzionario fosse stato inquisito, all’epoca di presentazione del certificato, in un procedimento penale (per abuso d’ufficio e rifiuto e omissione di atti d’ufficio) ancora pendente per “fatti inerenti proprio la pratica di agibilità dell’associazione”.
Secondo i giudici, è evidente la violazione dell’art. 6-bis della Legge 7 agosto 1990, n. 241, come introdotto con Legge n. 190/2012, non essendo stato adempiuto l’obbligo di astensione del sottoscrittore dell’atto impugnato, all’epoca inquisito in procedimento penale pendente per “fatti inerenti proprio la pratica di agibilità dell’Associazione ricorrente”.
Il cennato art. 6-bis della Legge n. 241 del 1990, prevede che “il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”.
Tale regola è espressione del principio generale di imparzialità di cui all’art. 97 Cost., il quale impone che “le scelte adottate dall’organo devono essere compiute nel rispetto della regola dell’equidistanza da tutti coloro che vengano a contatto con il potere pubblico” (Consiglio di Stato, comm. spec., par. n. 667 del 2019, sullo schema di linee guida ANAC in materia di conflitti di interesse nell’affidamento dei contratti pubblici).
Una declinazione del principio è contenuta anche nell’art. 7 del d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62, recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell’art. 54 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, il quale prevede che “il dipendente si astiene dal partecipare all’adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente”.
Alla medesima esigenza si ispira la disciplina relativa alle incompatibilità nell’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, nonché il d.lgs. n. 39 del 2013, in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico).
A quanto innanzi consegue l’obbligo del dipendente che versi in situazione sussumibile nelle richiamate previsioni, di informare l’Amministrazione e di astenersi.