Come è noto, il comma 3 dell’art. 13-bis della Legge 31 dicembre 2012, n. 247, prevede che “La pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, ossia successivamente al 6 dicembre 2017.
Come evidenziato recentemente dal TAR Lombardia, Brescia, sez. I, nella sent. 20 dicembre 2021, n. 1088, la norma, nell’estendere anche alle pubbliche amministrazioni l’obbligo di applicare l’istituto dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi da esse conferiti, è finalizzata ad assicurare una speciale protezione al professionista, quale parte debole del rapporto contrattuale, in tutti i casi in cui la pubblica amministrazione, a causa della propria preponderante forza contrattuale, definisca unilateralmente la misura del compenso spettante al professionista e lo imponga a quest’ultimo senza alcun margine di contrattazione; e ciò sia in occasione di affidamenti diretti dell’incarico professionale, sia nella determinazione della base d’asta nel contesto di procedure finalizzate all’affidamento dell’incarico professionale secondo le regole dell’evidenza pubblica.
La norma non trova, invece, applicazione ove la clausola contrattuale relativa al compenso per la prestazione professionale sia oggetto di trattativa tra le parti o, nelle fattispecie di formazione della volontà dell’amministrazione secondo i principi dell’evidenza pubblica, ove l’amministrazione non imponga al professionista il compenso per la prestazione dei servizi legali da affidare (in tal senso cfr. di recente, TAR Lombardia, Milano, sez. I, sent. 29 aprile 2021, n. 1071). E ciò per l’evidente motivo che nel caso in cui il professionista non sia costretto ad accettare supinamente il compenso predeterminato unilateralmente dall’amministrazione, ma contratti liberamente il proprio compenso su un piano paritetico con la committente, viene meno quella speciale esigenza di protezione del professionista, quale parte debole del rapporto contrattuale, su cui si fonda la ratio dell’istituto dell’equo compenso.
È stato anche osservato, a questo riguardo (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. III, sent, 27 agosto 2021, n. 9404), che “La disposizione di cui all’art. 13 -bis, comma 2, l. n. 247 del 2012 secondo cui si deve fare comunque riferimento alle tariffe di cui al d.m. n. 55 del 2014, trova unicamente applicazione per taluni soggetti imprenditoriali (es. imprese assicurative e bancarie) che notoriamente godono di una certa forza contrattuale, non anche per le pubbliche amministrazioni le quali non sono espressamente contemplate tra i soggetti di cui al riportato art. 13 -bis, comma 1; del resto, l’estensione automatica ed inequivoca delle disposizioni di cui all’art. 13-bis (equo compenso sulla base dei minimi tariffari) è stata operata dal legislatore soltanto in riferimento ad una particolare categoria di liberi professionisti (quelli di cui all’art. 1 l. n. 81 del 2017) e non anche nei riguardi della p.a.); ne consegue, da quanto descritto, che per la pubblica amministrazione trova sì applicazione il concetto di “equo compenso” ma non entro i rigidi e ristretti parametri di cui al DM contemplato dall’art. 13, comma 6, della legge n. 247 del 2012 (ora, il DM 55 del 2014). Il concetto di “equo compenso”, per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione, deve dunque ancorarsi a parametri di maggiore flessibilità legati: da un lato, ad esigenze di contenimento della spesa pubblica (si veda in proposito la consueta clausola di invarianza finanziaria di cui al comma 4 dell’art. 19-quaterdecies d.l. n. 148 del 2017); dall’altro lato, alla natura ed alla complessità delle attività defensionali da svolgere in concreto”.
È stato anche affermato (cfr. TAR Lombardia, Milano, sez. I, sent. 29 aprile 2021, n. 1071) che “imporre alle pubbliche amministrazioni l’applicazione di parametri minimi rigidi e inderogabili, anche in assenza della predisposizione unilaterale dei compensi e di un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista, comporterebbe un’irragionevole compressione della discrezionalità delle stesse nell’affidamento dei servizi legali, in assenza delle condizioni di non discriminazione, di necessità e di proporzionalità che giustificano l’introduzione di requisiti restrittivi della libera concorrenza (Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza 23 novembre 2017, nelle cause C-427/2016 e C-428/2016)”.
Nel caso specifico oggetto di valutazione da parte dei giudici bresciani nella citata segnalata 1088/2021, un Comune aveva chiesto a tre avvocati di formulare un’offerta economica per una prestazione professionale, il cui oggetto era stato dettagliatamente individuato mediante l’invio del ricorso e di tutte le informazioni relative al suo oggetto, in tal modo fornendo a ciascuno di essi gli elementi necessari (e sufficienti) all’individuazione del compenso professionale; ciascuno dei professionisti interpellati aveva formulato liberamente il proprio preventivo, senza essere vincolato a criteri predeterminati o predisposti unilateralmente dall’amministrazione richiedente, e quindi senza subire condizionamenti, limitazioni o imposizioni da parte della stessa. Dal canto suo, l’Amministrazione si era limitata a valutare i tre preventivi e a prescegliere quello ritenuto più conveniente, senza imporre modifiche di sorta e senza neppure stimolare rilanci competitivi tra gli offerenti.
Alla luce di tali considerazioni, la tesi secondo cui la P.A. sarebbe sempre tenuta a corrispondere al professionista incaricato di un servizio legale un compenso non inferiore a quello determinabile sulla scorta dei parametri di cui al decreto ministeriale n. 55/2014, anche nel caso in cui tale compenso non sia stato imposto unilateralmente dall’amministrazione ma abbia costituito oggetto di una specifica trattativa tra le parti (o addirittura sia stato liberamente offerto dal professionista e pianamente accettato dall’amministrazione), non può dunque essere accolta.