Ormai da tempo la giurisprudenza contabile (cfr., recentemente, Corte dei conti, sez. giurisdizionale per la Puglia, sent. n. 389/2021, depositata lo scorso 10 maggio), facendo proprio un consolidato orientamento della Corte di Cassazione (cfr., ad esempio, l’ordinanza n. 7824/2020 e la sent. n. 17188/2018 delle Sezioni Riunite), ha chiarito quali sono i requisiti indispensabili per la configurabilità di una società in house:
- il capitale sociale deve essere integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi e lo statuto deve vietare la cessione delle partecipazioni a soci privati;
- la società deve esplicare statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti, in modo che l’eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale;
- la gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici – al punto che gli organi amministrativi della società vengano a trovarsi in posizione di vera e propria subordinazione gerarchica – e quindi con modalità e intensità di comando non riconducibili alle facoltà normalmente spettanti al socio in base alle regole del codice civile;
- detti requisiti devono sussistere tutti contemporaneamente, e devono risultare da precise disposizioni statutarie e la loro verifica deve essere svolta avendo riguardo al momento in cui risale la condotta ipotizzata come illecita.
La verifica della sussistenza dei requisiti indicati è di fondamentale importanza per quanto concerne l’eventuale responsabilità dinanzi alla Corte dei conti: ed infatti, solo nei casi in cui i suddetti requisiti coesistano potrà esserci la giurisdizione contabile; in difetto, eventuali profili di responsabilità dovranno essere oggetto di cognizione del giudice ordinario.