L’art. 38, comma 2, lett. a), D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, in vigore dal 20 ottobre 2012, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 , inserisce al comma 5,dell’articolo 4 del dpr 633/72, le seguenti parole: le operazioni effettuate dallo Stato, dalle regioni, dalle province, dai comuni e dagli altri enti di diritto pubblico nell’ambito di attività di pubblica autorità, recependo nella nostra legislazione nazionale la esclusione della commercialità per le attività degli enti pubblici rese in quanto pubbliche autorità.
La commercialità iva dell'attività esercitata dall'ente pubblico dipende in conclusione da un'indagine, caso per caso, volta ad individuare il regime giuridico extratributario cui essa è assoggettata. Sul concetto di rapporto autoritativo o rapporto improntato al carattere della corrispettività torna molto utile consultare le pronunce della Agenzia delle entrate in merito.
L'art. 4, paragrafo 5, della VI ° Direttiva (oggi interamente trasfuso nell’art. 13 della direttiva del Consiglio 28 novembre 2006 n. 2006/11/CE che dopo un trentennio aggiorna le disposizioni comunitarie in tema di imposta sul valore aggiunto) esclude che gli enti pubblici possano considerarsi soggetti passivi "per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni e ciò a meno che il loro mancato assoggettamento provochi "distorsioni di concorrenza di una certa importanza".
Di tali previsioni non vi era traccia nell'art. 4, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972 che, come si è visto, delimitava la soggettività passiva degli enti non commerciali in funzione dell'eventuale attività commerciale o agricola esercitata, a prescindere dalla loro natura pubblica o privata.
Si poneva dunque il problema di stabilire quali fossero i rapporti tra normativa comunitaria e normativa nazionale, se cioè, vi fosse un rapporto di conflittualità da risolvere attribuendo prevalenza al paragrafo 5 dell'art.4 della VI Direttiva o, invece, l'art.4, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972 fosse una fedele trasposizione della predetta norma comunitaria.
Anche la Corte di Giustizia è stata chiamata in causa in relazione alla controversa natura di alcune attività esercitate da enti municipali, e la stessa in un notissimo precedente del 1989, ha affermato:
a) che il comma 1 del paragrafo 5 dell'art.4 della VI° Direttiva prevede un obbligo di risultato al quale il singolo Stato membro potrebbe adempiere vuoi ripetendo la formula comunitaria o utilizzando un'espressione di eguale significato, vuoi redigendo "un elenco di attività per le quali i soggetti di diritto pubblico non devono essere considerati soggetti d'imposta" e che comunque il paragrafo 5 contiene previsioni normative incondizionate e sufficientemente precise tali da poter essere utilizzate da qualunque ente di diritto pubblico onde non essere assoggettato all'imposta sulle attività svolte in quanto pubblica autorità;
b) che per attività esercitate in quanto pubbliche autorità devono ritenersi "quelle svolte dagli enti di diritto pubblico nell'ambito del regime giuridico loro proprio, escluse le attività da essi svolte nello stesso regime cui sono sottoposti gli operatori economici privati" e che spetta al giudice nazionale di volta in volta accertare la natura dell'attività;
c) che gli Stati membri "sono tenuti a garantire l'assoggettamento degli enti di diritto pubblico per le attività che esercitano in quanto pubbliche autorità allorché tali attività possono essere del pari esercitate da privati in concorrenza con essi e qualora il loro assoggettamento sia atto a provocare distorsioni di concorrenza di una certa importanza, ma non hanno l'obbligo di recepire letteralmente tale criterio nel loro diritto nazionale, né di precisare limiti quantitativi di non assoggettamento".
Si ritiene peraltro da una lettura attenta della norma Iva che l’impronta pubblicistica delle attività autoritative in questione le pone, a prescindere dal fatto che siano tipologicamente riconducibili a quelle indicate nell'art. 2195 del codice civile, al di fuori della dinamica di mercato "non risultando improntate ad un principio di corrispettività seppure a fronte del loro esperimento possa formalmente configurarsi una controprestazione da parte dell'utente del servizio.
In ogni caso volendo cercare di delimitare la portata dell'esclusione dal tributo di cui al paragrafo 5, dell'art. 4 della VI° Direttiva, può dirsi che tendenzialmente sono attività esercitate dagli enti pubblici "in quanto pubbliche autorità" quelle riconducibili ad atti e provvedimenti formali tipici delle autorità preposte alla cura di funzioni pubbliche, ad attività cioè, aventi il carattere dell'autoritatività e soggette alla prerogativa dell'autotutela amministrativa a fronte delle quali sono imposte forme contributive non corrispettive.
Proprio il carattere tributario dell'entrata corrisposta a fronte dell'attività esercitata dall'ente pubblico costituisce in definitiva il più sicuro indice della sua natura autoritativa.