La rinegoziazione dei mutui: le indicazioni della Corte dei conti

La rinegoziazione dei mutui comporta, da un lato, il vantaggio immediato della riduzione della spesa annuale per il rimborso delle rate in ammortamento e, dall’altro, in molti casi, un aumento della spesa complessiva per interessi in conseguenza della maggior durata dell’indebitamento ed un sicuro irrigidimento dei bilanci futuri.

Conseguentemente, come evidenziato dalla Corte dei conti, sez. reg. di controllo per l’Abruzzo, delib. n. 11/2021/PRSE, depositata lo scorso 28 gennaio, la diminuzione delle rate di ammortamento non può essere considerata di per sé un risparmio, in considerazione del vincolo all’indebitamento che si protrae per un numero maggiore di esercizi rispetto a quelli originariamente previsti (in tal senso anche: sez. reg. contr. Lombardia, delib. 1° dicembre 2010, n. 1027; sez. reg. contr. Liguria, delib. 17 settembre 2008, n. 77; sez. reg. contr. Toscana, delib. 6 aprile 2011, n. 27).

Inoltre, occorre considerare che il prolungamento della durata dei singoli mutui comporta il venir meno del collegamento tra la durata fisica dell’investimento originario ed il suo finanziamento. In proposito, i principi contabili prevedono che “ai fini del mantenimento dell’equilibrio patrimoniale è opportuno commisurare il periodo di ammortamento dell’indebitamento con il presumibile periodo nel quale gli investimenti correlati potranno produrre la loro utilità” (punto 23 del principio contabile n. 2, approvato dall’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli Enti locali).

Del resto, il significato del vincolo all’indebitamento solo per spesa per investimento, prevista dall’ultimo comma dell’art. 119 della Costituzione, si fonda tanto nella dinamica della produzione del reddito futuro, quanto nell’esigenza della realizzazione di un’equità intergenerazionale.

È indubbio che nell’immediato l’Ente, a seguito della rimodulazione, può disporre di maggiori risorse date dalla diminuzione degli interessi, ma l’operazione può non rispondere a criteri di sana gestione finanziaria poiché il vantaggio immediato presenta un costo elevato derivante dall’aumento dell’ammontare complessivo degli interessi e dall’irrigidimento della gestione dell’Ente che per molti anni, al di là della scadenza originaria, dovrà sostenere le spese inerenti il rimborso dei mutui ed il pagamento degli interessi.

Pertanto, l’allungamento del periodo di ammortamento di un mutuo comporta generalmente lo scollamento tra la durata tecnica dell’investimento finanziato con il mutuo e la durata del corrispondente indebitamento nonché lo spostamento al futuro di oneri senza più alcuna corrispondenza con l’utilità dell’investimento finanziato. La corrispondenza tra periodo di ammortamento dell’indebitamento e periodo di utilità dell’investimento finanziato è infatti essenziale ai fini del mantenimento dell’equilibrio patrimoniale. Un eccessivo allungamento del periodo di ammortamento, nella misura in cui è rivolto esclusivamente o principalmente – come spesso avviene – a far quadrare il bilancio e a recuperare liquidità in virtù della riduzione annua della corrispondente spesa, determina una gestione della passività ormai scollegata dall’investimento originario.

Le economie di spesa realizzate attraverso la rinegoziazione di mutui non si sottraggono al vincolo di destinazione posto dall’art.119 della Costituzione e possono essere destinate solo alla copertura di spese di investimento o alla riduzione dell’indebitamento. In altre parole, le minori spese derivanti da operazioni di rinegoziazione dei mutui devono servire per finanziare spese di investimento e non maggiore spesa corrente anche se trattasi di spese correnti relative allo svolgimento di funzioni essenziali (sez. contr. reg. Piemonte, delib. n.190/2014/PAR). La riduzione dell’importo delle rate di ammortamento non può essere considerata, infatti, un risparmio utile ad incrementare o, comunque, a finanziare la spesa corrente, ma un risparmio da destinare esclusivamente alle spese in conto capitale.

Pertanto, le risorse corrispondenti alla minore spesa sostenuta dall’ente a seguito di operazioni di rinegoziazione possono essere impiegate per spese in conto capitale e non per spese correnti.

Una temporanea eccezione a questa regola è stata disposta dall’art.7, comma 2, del D.L. n.78/2015, convertito in Legge n.125/2015, più volte modificato. Tale disposizione attualmente stabilisce che “per gli anni 2015, 2016 e 2017, le risorse derivanti da operazioni di rinegoziazione di mutui nonché dal riacquisto dei titoli obbligazionari emessi possono essere utilizzate dagli enti territoriali senza vincoli di destinazione”.

Appare opportuno evidenziare che le operazioni di rinegoziazione dei mutui, anche nelle ipotesi consentite dalla legge, devono essere sempre valutate attentamente in quanto normalmente comportano, per effetto dell’allungamento del periodo di ammortamento (pur in presenza di una immediata riduzione annua della quota di capitale da restituire e degli oneri finanziari da sostenere), un aumento della spesa complessiva per gli interessi.

Ulteriore effetto negativo derivante dall’allungamento del periodo di ammortamento è quello di ridurre la futura capacità dell’ente di assumere nuovi mutui a causa dell’aumento della durata dei debiti già esistenti. La scelta di procedere alla rinegoziazione deve, pertanto, considerare non solo i vantaggi immediati, ma anche gli effetti a lungo termine.

Un’operazione di rinegoziazione che non tenga conto degli aspetti evidenziati o che presenti le conseguenze negative evidenziate, anche se astrattamente rispettosa della normativa, può risultare censurabile laddove non conforme ad una sana gestione.

In altri termini, le operazioni di rinegoziazione dei mutui devono essere valutate non solo sotto il profilo meramente finanziario, ma, in ossequio ai principi di sana gestione, devono essere assoggettate ad una più complessiva valutazione che tenga conto, soprattutto, delle conseguenze derivanti dall’allungamento del periodo di tempo interessato dal debito che vincola la futura attività dell’ente e che pone, a carico delle generazioni future, oneri per attività che potrebbero aver già esaurito i loro benefici (sez. contr. Piemonte, delibn.158/PRSE/2011).

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