Costituisce grave irregolarità contabile la prassi di alcuni Comuni di accumulare, di anno in anno, in un unico fondo accantonato nel risultato di amministrazione, le risorse destinate alla contrattazione decentrata, per poterle poi utilizzare in un’unica soluzione una volta stipulato l’accordo collettivo integrativo, mediante una sorta di “capitalizzazione impropria” delle risorse destinate all’erogazione annuale del trattamento retributivo accessorio: è quanto evidenziato dalla Corte dei conti, sez. reg. di controllo per le Marche, nella delib. n. 107/2020/PRSP del 4 novembre 2020.
Come è noto, la regolare costituzione del fondo risorse decentrate costituisce presupposto essenziale per la conclusione dell’accordo collettivo integrativo: la sua finalità è quella di apporre uno specifico vincolo di destinazione alle risorse che lo finanziano, onde renderle indisponibili per altre finalità (ex plurimis, Corte dei conti, sez. contr. Marche, delib. 15 ottobre 2020, n. 91/PRSE).
Alla costituzione del fondo deve poi conseguire la sottoscrizione, con cadenza annuale, dell’accordo collettivo integrativo decentrato, in assenza del quale non può essere legittimamente erogato il trattamento retributivo accessorio (§ 5.2 dell’All. 4/2 al D.Lgs. 118/2011). Solo con la sottoscrizione dell’accordo matura, infatti, il titolo giuridico ed insorge il conseguente obbligo (art. 1173 c.c.) di corrispondere il trattamento retributivo accessorio, rendendo possibile l’impegno delle risorse preventivamente stanziate nel fondo per il loro pagamento (art. 183, comma 1, TUEL) (Corte conti, sez. contr. Molise, del. 4 dicembre 2015, n. 218/PAR), eventualmente preservandone nel FPV (trattandosi di risorse vincolate) la copertura finanziaria nel caso in cui la spesa fosse liquidabile nell’esercizio successivo (Corte conti, sez. contr. Veneto, del. 4 maggio 2016, n. 263/PAR).