La valutazione delle passività potenziali deve essere sorretta dalle conoscenze delle specifiche situazioni, dall’esperienza del passato e da ogni altro elemento utile e deve essere effettuata nel rispetto dei postulati del bilancio ed in modo particolare quelli di imparzialità e verificabilità: è quanto ribadito dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. per il Lazio, nella recente delib. n. 112/2020/PRSE, confermando un consolidato orientamento (così, da ultimo, sez. di controllo per il Trentino-Alto Adige/Südtirol-Sede di Trento, delib. n. 57/2019/PRSE).
In particolare, come già affermato in precedenza dalla giurisprudenza contabile (cfr. deliberazioni sez. reg. di contr. per la Campania n. 125/2019/PRSP e sez. reg. di contr. per il Lazio n. 80/2020/PRSE) ha fatto riferimento, ai fini della classificazione delle passività potenziali, tra passività “probabili”, “possibili” e da “evento remoto”, ai seguenti principi:
- la passività “probabile”, con indice di rischio del 51%, (che impone un ammontare di accantonamento che sia pari almeno a tale percentuale), è quella in cui rientrano i casi di provvedimenti giurisdizionali non esecutivi, nonché i giudizi non ancora esitati in decisione, per i quali l’avvocato abbia espresso un giudizio di soccombenza di grande rilevanza (cfr., al riguardo, documento OIC n. 31 e la definizione dello IAS 37, in base al quale l’evento è probabile quando si ritiene sia più verosimile che il fatto si verifichi piuttosto che il contrario);
- la passività “possibile” che, in base al documento OIC n. 31, nonché dello IAS 37, è quella in relazione alla quale il fatto che l’evento si verifichi è inferiore al probabile e, quindi, il range di accantonamento oscilla tra un massimo del 49% e un minimo determinato in relazione alla soglia del successivo criterio di classificazione;
- la passività da “evento remoto”, la cui probabilità è stimata inferiore al 10%, con accantonamento previsto pari a zero.