Come è noto, la questione relativa alla permanenza o meno del potere di revocare l’aggiudicazione, dopo che il contratto è stato concluso, è stata affrontata dalla giurisprudenza, che l’ha risolta, affermando che “intervenuta la stipulazione del contratto per l’affidamento dell’appalto di lavori pubblici, l’amministrazione non può esercitare il potere di revoca dovendo operare con l’esercizio del diritto di recesso” (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, sent. 10 giugno 2024, n. 5171).
In particolare, secondo l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 14 del 29 giugno 2014:
– presupposto del potere di revoca “è la diversa valutazione dell’interesse pubblico a causa di sopravvenienze”;
– “il medesimo presupposto è alla base del recesso in quanto potere contrattuale basato su sopravvenuti motivi di opportunità”;
– “la specialità della previsione del recesso di cui al citato art. 134 [oggi art. 123 d.lgs. n. 36/2023] del codice preclude, di conseguenza, l’esercizio della revoca”;
– se, infatti, “nell’ambito della normativa che regola l’attività dell’amministrazione nella fase del rapporto negoziale di esecuzione del contratto […], è stata in particolare prevista […] una norma che attribuisce il diritto di recesso, non si può ritenere che sul medesimo rapporto negoziale si possa incidere con la revoca, basata su presupposti comuni a quelli del recesso (la rinnovata valutazione dell’interesse pubblico per sopravvenienze) e avente effetto analogo sul piano giuridico (la cessazione ex nunc del rapporto negoziale)”;
– diversamente opinando, “la norma sul recesso sarebbe sostanzialmente inutile, risultando nell’ordinamento, che per definizione reca un sistema di regole destinate a operare, una normativa priva di portata pratica, dal momento che l’amministrazione potrebbe sempre ricorrere alla meno costosa revoca ovvero decidere di esercitare il diritto di recesso secondo il proprio esclusivo giudizio, conservando in tale modo nel rapporto una posizione comunque privilegiata”.
Conseguentemente, è stato, da ultimo, precisato che “la revoca dell’aggiudicazione dopo la sottoscrizione del contratto configura un’ipotesi di carenza di potere in concreto, perché il potere di revoca dei propri provvedimenti spetta alle pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’art. 21 quinquies della legge 241/1990, e dunque in astratto sussiste, ma in concreto non può essere esercitato dalle stazioni appaltanti dopo la conclusione del contratto: in sostanza, il fatto che il contratto non sia ancora stato concluso costituisce una condizione per il legittimo esercizio del potere di revocare l’aggiudicazione” (cfr. TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 14 dicembre 2023, n. 912).
Secondo il TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, sent. 20 marzo 2025, n. 555, tali statuizioni, affermate con riferimento alla disciplina dettata dal d.lgs. n. 163/2006 e confermate anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016, mantengono la propria validità anche a seguito del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023).
I giudici catanzaresi hanno evidenziato che l’amministrazione può avvalersi di strumenti di autotutela pubblicistica per porre rimedio a questioni afferenti alla fase privatistica del rapporto, mentre, come già detto, dopo la stipula del contratto, il potere di autotutela pubblicistica, ex art. 21 quinquies della legge n. 241/1990, non può più essere utilizzato; restano utilizzabili, ricorrendone i requisiti, l’esercizio del diritto di recesso, ai sensi dell’art. 123 del d.lgs. n. 36/2023, ovvero la risoluzione del contratto stipulato, ai sensi dell’art. 122 del d.lgs. n. 36/2023.