Mantenimento dei residui vetusti: le indicazioni della Corte dei conti

L’Ente è chiamato a verificare, per i residui attivi e passivi, la sussistenza del titolo giuridico, l’esistenza e la quantificazione del credito o del debito, accertandone, nel contempo, l’effettiva possibilità di riscossione o del pagamento e le ragioni dell’eventuale mancato incasso o del pagamento pregresso e, ove i residui attivi non risultassero più esigibili, andranno definitivamente eliminati dalle poste attive: è quanto ribadito dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. Abruzzo, nella delib. n. 51/2025/PRSP, depositata il 17 marzo 2025.

I giudici hanno richiamato l’ulteriore disposizione contenuta nell’art. 11, comma 6, lett. e), del d.lgs. n. 118/2011, ai sensi del quale la relazione sulla gestione, allegata al rendiconto, deve illustrare le ragioni della persistenza dei residui con anzianità superiore ai cinque anni e di maggiore consistenza, nonché sulla fondatezza degli stessi. Tale norma sta chiaramente a significare che, per il mantenimento in bilancio di un residuo attivo ultraquinquennale non è sufficiente l’assenza di ragioni per la sua cancellazione, essendo invece necessaria l’esigenza di idonee giustificazioni per il suo mantenimento. E tanto più remoto è l’esercizio di provenienza del residuo, tanto più solide, ragionevoli e stringenti dovranno essere le motivazioni addotte per poterlo mantenere in bilancio, nel senso, cioè che l’onere motivazionale si fa via via sempre più aggravato all’aumentare dell’anzianità del residuo stesso, onde evitare che tale mantenimento possa offrire una copertura meramente fittizia della spesa.

Alla luce di quanto sopra, emerge che, in occasione del riaccertamento ordinario dei residui, fermo restando l’obbligo di congruo accantonamento al FCDE (secondo le modalità prescritte dal § 3.3 dell’All. 4/2 cit.), gravi sull’ente locale un onere motivazionale (art. 2697 c.c.) modulato nei seguenti termini:

  • per i crediti di dubbia o difficile esigibilità di anzianità infratriennale il residuo si presume esigibile, salvo che l’Ente non dimostri l’esistenza di ragionevoli motivazioni per disporre lo stralcio;
  • per i crediti di dubbia o difficile esigibilità di anzianità compresa tra tre e cinque anni, il residuo attivo di anzianità non si presume né esigibile né inesigibile e grava sull’ente l’onere di motivarne sia lo stralcio che il mantenimento;
  • per i crediti di dubbia o difficile esigibilità di anzianità ultraquinquennale, infine, l’art. 11, comma 6, lett. e), d.Lgs. n. 118/2011 determina una vera e propria inversione dell’onere probatorio gravante sull’ente, nel senso cioè che spetta all’ente dimostrare le ragioni per cui ne reputa opportuno (anziché lo stralcio) il mantenimento nel conto del bilancio, tenuto comunque conto del fatto che la perdurante pendenza delle procedure esecutive di riscossione coattiva già avviate da diversi anni “non smentisce (ma, anzi, implicitamente avvalora) l’incerta esigibilità” dei residui e, pertanto, “anziché essere richiamata a sostegno del loro mantenimento nel conto del bilancio, dovrebbe, viceversa, militare proprio nel senso della loro opportuna cancellazione, quantomeno di quelli risalenti agli esercizi più remoti.

Trascorsi cinque anni dalla sua scadenza, l’Ente deve quindi motivare non le ragioni per cui intende stralciare il residuo attivo dal conto del bilancio, ma quelle per cui intende mantenerlo e l’intensità di tale onere motivazionale è direttamente proporzionale all’anzianità del residuo mantenuto il bilancio; detto altrimenti, il residuo attivo ultraquinquennale si presume inesigibile, salvo che l’ente non dimostri l’esistenza di ragionevoli motivazioni per disporne il mantenimento, che dovranno essere tanto più stringenti quanto più remoto è l’esercizio di provenienza.

In tutti e tre i casi, resta fermo che, nel caso in cui il credito venisse non solo stralciato dal conto del bilancio, ma definitivamente eliminato dalle scritture contabili e quindi anche dallo stato patrimoniale, il “riconoscimento formale” della sua “assoluta inesigibilità o insussistenza” deve essere comunque “adeguatamente motivato” attraverso “l’analitica descrizione delle procedure seguite” per ottenerne la riscossione o indicando “le ragioni che hanno condotto alla maturazione della prescrizione”, fermo restando “l’obbligo di attivare ogni possibile azione finalizzata ad adottare le soluzioni organizzative necessarie per evitare il ripetersi delle suddette fattispecie” .

In conclusione, il § 9.1 dell’All. 4/2 cit., letto in maniera coerente con i principi generali di prudenza (§ 9 dell’All. 1 cit.) e di veridicità, attendibilità correttezza e comprensibilità (§ 520 dell’All. 1 cit.), porta a ritenere che la mancata conclusione delle procedure giudiziali o stragiudiziali di esecuzione coattiva o la mancata dichiarazione di definitiva inesigibilità del credito da parte dell’agente della riscossione non costituisce ragione di per sé sufficiente a giustificare il mantenimento nel conto del bilancio dell’ente locale di un residuo attivo di anzianità ultratriennale e di dubbia o difficile esigibilità, a meno che non sussistano congrui e plausibili elementi capaci di fondare ragionevoli aspettative di effettivo incasso, di cui l’ente deve fornire, in occasione delle operazioni di riaccertamento annuale ordinario dei residui, adeguata ed esaustiva motivazione, tanto più pregnante ed incisiva quanto più remoto è l’esercizio di provenienza del residuo stesso.

image_pdfScarica PDF articoloimage_printStampa articolo
Condividi!

Caricamento riuscito. Grazie!