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FGDC: la quantificazione è una sommatoria fra esercizio in corso ed esercizi

La quantificazione del fondo garanzia debiti commerciali è data dalla sommatoria dell’accantonamento dovuto nell’esercizio in corso con quelli appostati negli esercizi precedenti, fintanto che non possa disporsi la sua liberazione nell’esercizio successivo a quello in cui sono rispettate le condizioni di cui alle lettere a) e b) dell’art. 1, comma 859, della Legge n. 145/2018: è quanto ricordato dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. Basilicata, nella delib. n. 35/2025/PRSP, depositata il 6 marzo 2025.

In caso di errore o omessa quantificazione, perciò, scatta l’obbligo per il Comune di procedere tempestivamente all’adeguamento dell’importo del fondo in questione secondo i principi di cui all’art. 1, comma 859 e ss., attesa la diretta incidenza di tale accantonamento sulla parte disponibile del risultato di amministrazione.

Nell’occasione i giudici hanno ricordato che la ratio dell’accantonamento in esame è stata chiarita dalla Corte Costituzionale, la quale, con la sentenza n. 78/2020, ha affermato che il FDGC rappresenta: “una soluzione contabile e gestionale funzionale a consentire all’amministrazione di disporre di liquidità necessaria a velocizzare i pagamenti delle proprie obbligazioni commerciali e a ridurre la relativa voce di debito residuo. Il meccanismo approntato impedisce di effettuare impegni di spesa e pagamenti a valere sulle somme accantonate nel fondo; ciò fa sì che a fine esercizio le relative economie di spesa rifluiscono nella quota libera del risultato di amministrazione e l’ente può utilizzare la giacenza di cassa in tal modo formatasi per pagare i debiti arretrati.

Pertanto, se è pur vero che – imponendo l’obbligatorio accantonamento nel fondo di nuova istituzione – le norme limitano la piena disponibilità delle risorse dell’ente in sede di predisposizione del bilancio e di programmazione della spesa, è tuttavia evidente che ciò rappresenta il coerente strumento con cui le disposizioni stesse hanno inteso porre un rimedio all’accertata violazione dei termini di pagamento. Difatti, quest’ultima patologica situazione consegue di regola al fatto che l’ente, nell’esercizio della sua autonomia gestionale e di bilancio, non ha coordinato la programmazione e l’impegno delle proprie obbligazioni, legittimamente assunte e vincolanti, con la disponibilità di cassa necessaria alle previste scadenze di pagamento.

Oltre a indurre l’ente a conseguire liquidità di cassa utile a velocizzare i pagamenti commerciali, lo strumento del fondo di garanzia realizza anche l’ulteriore e indiretto effetto positivo di ridurre l’esposizione dell’amministrazione a titolo di interessi passivi sui pagamenti tardivi. Tali importi sono del tutto improduttivi e, tenuto conto del criterio di quantificazione degli interessi moratori di cui al d.lgs. n. 231 del 2002, possono assumere dimensioni non trascurabili; pertanto, la loro diminuzione consente all’ente di recuperare risorse da destinare ad attività istituzionali (omissis)”.