La distinzione fra appalto di servizi e concessione di servizi: un recente caso concreto

Posto che la qualificazione giudica del contratto è fondamentale al fine di individuare la disciplina normativa a cui esso è assoggettato, secondo pacifica giurisprudenza, si ha un appalto di servizi quando il corrispettivo è pagato direttamente dall’Amministrazione al prestatore del servizio, il quale, conseguentemente, non ne sopporta il rischio legato alla gestione, a differenza del concessionario di servizi, il quale trae la propria remunerazione dai proventi ricavati dagli utenti (cfr., Cass. SS.UU., sent. n. 23155/2024; Corte giustizia UE sez. VIII, 10/11/2022, n. 486).

Solamente se non c’è trasferimento del rischio operativo, almeno parziale, a carico del privato, il contratto può essere qualificato come appalto; diversamente esso va ascritto al paradigma della concessione (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II, sent. n. 18072/2023).

Applicando tali linee ermeneutiche, il TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, nella sent. 11 febbraio 2025, n. 128, dinanzi ad una gara per l’affidamento del servizio di individuazione, organizzazione e disponibilità dei test center per l’espletamento della prova concorsuale relativa all’ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato nazionale, ha affermato l’esistenza di una concessione di servizi, e non di un appalto, considerato che:

  • il disciplinare di gara prevedeva che “All’aggiudicatario, quale corrispettivo per il servizio reso, verrà riconosciuto esclusivamente il diritto di riscuotere, ricevere e/o trattenere, dai partecipanti alle prove di ammissione il contributo di partecipazione predeterminato secondo quanto meglio indicato nello schema di contratto al punto 6, ovverosia € 130,00 a iscritto;
  • il corrispettivo percepito dal contraente privato variava in relazione al numero dei partecipanti alla prova di ammissione, con assunzione in capo all’aggiudicatario del rischio di non vedersi rimunerati le risorse umane, organizzative e strumentali messe in campo per eseguire il contratto medesimo.

Certamente si trattava di una concessione sui generis, dato che era destinata a esaurirsi in un arco di tempo molto limitato e che il concessionario non godeva di larghi margini di libertà per organizzare il servizio; tuttavia, poiché era indubbio che la parte pubblica non avrebbe versato all’aggiudicatario alcun corrispettivo per il servizio reso e che il corrispettivo non era predeterminato ma variava in dipendenza di elementi che l’aggiudicatario non poteva controllare (i.e. numero iscritti) e di cui assumeva il rischio, il contratto messo a gara non poteva considerarsi un appalto ma una concessione.

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