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Perdita partecipata del comune e assenza decisione di ripiano: necessario accantonare apposito fondo

È illegittimo il comportamento del comune che, in presenza di perdite portate a nuovo nello stato patrimoniale da una partecipata e in assenza di decisioni assembleari in merito al ripiano, non provvede a costituire apposito fondo rischi per le perdite degli organismi partecipati in sede di rendiconto: è quanto affermato dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. n. 5/2025/PRSE, depositata il 22 gennaio 2025.

L’obbligo di costituire il fondo perdite società partecipate, introdotto dal comma 551 dell’art. 1 della legge n. 147/2013 e successivamente confluito nell’art. 21 del TUSP (d.lgs. n. 175/2016), si sostanzia in un accantonamento di risorse in bilancio finalizzato a scongiurare che le perdite delle società partecipate possano pregiudicare gli equilibri di bilancio del socio pubblico, stabilendo in tal modo un meccanismo di correlazione fra perdita di gestione subita dalla società e contrazione degli spazi di spesa delle amministrazioni partecipanti.

Il fondo svolge pertanto una funzione prudenziale correlata alla ricaduta che le gestioni esternalizzate possono avere sui bilanci degli enti locali (ex plurimis: SRC Liguria n. 24/2017/PAR, n. 127/2018/PAR e n. 114/2020/PRSP, SRC Basilicata n. 53/2021/PRSP e n. 31/2021/PRSP, SRC Sicilia n. 25/2021/PAR).

Il riferimento, contenuto nell’ultimo alinea del comma 1 del citato art. 21, al ripiano, parziale o totale, delle perdite conseguite negli esercizi precedenti come una delle condizioni che consentono di liberare le risorse accantonate, rende evidente che l’accantonamento nel risultato di amministrazione deve essere commisurato, non solo al risultato negativo dell’ultimo esercizio della società partecipata, ma anche agli eventuali risultati negativi pregressi che nell’ultimo bilancio societario compaiono non ancora ripianati e, quindi, riportati a nuovo (in tal senso si sono espresse la SRC Liguria nella delibera n. 114/2020/PRSP e la SRC Lombardia nella Relazione annessa alla delibera n. 114/2022/PARI).

L’importo così determinato copre integralmente il rischio rappresentato dalla eventualità che l’ente socio sia chiamato, con le proprie risorse di bilancio, ad intervenire per il ripiano delle perdite delle società cui partecipa. Fatta eccezione per la prima fase di graduale applicazione del vincolo, disciplinata al comma 2 dell’art. 21 cit., infatti, il legislatore non fa cenno ad alcuna stima o valutazione quali-quantitativa da parte dell’ente o ad un importo minimo di legge, in altre parole, ad elementi che possano lasciare spazio all’amministrazione di decidere in via autonoma e discrezionale il grado di prudenza da adottare nel calcolo del fondo. Nella fase a regime (ormai pienamente operativa), dunque, il meccanismo mira a preservare pienamente gli equilibri di bilancio assicurando la copertura integrale del rischio connesso alle perdite societarie, obiettivo che può essere assicurato solo attraverso una quantificazione dinamica dell’accantonamento.

Nella fattispecie esaminata dai giudici toscani, un comune deteneva una partecipazione del 2,99 per cento nella società di gestione delle farmacie comunali, che aveva registrato nell’esercizio 2019 un utile di esercizio pari a € 3.450 ma, al contempo, aveva riportato nello stato patrimoniale perdite portate a nuovo per € 500.123. In assenza di decisioni assembleari circa il ripiano, l’ente, secondo il pensiero della Corte, avrebbe dovuto disporre nel risultato di amministrazione una adeguata tutela per il rischio connesso alle perdite della società, determinato in € 14.953,68 (ossia, il 2,99% di € 500.123).