Accesso civico: possibile regolamentare il costo di riproduzione dei documenti

Come è noto, il diritto di accesso civico a dati e documenti è disciplinato dagli artt. 5 e ss. del d.lgs. n. 33/2013 (c.d. Freedom of Information Act – FOIA), che prevede il diritto di “chiunque” di avere accesso “ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis”.

Il comma 4 del citato art. 5 testualmente prevede che “il rilascio di dati o documenti in formato elettronico o cartaceo è gratuito, salvo il rimborso del costo effettivamente sostenuto e documentato dall’amministrazione per la riproduzione su supporti materiali”.

Come evidenziato dal Ministero dell’Interno, Dipartimento degli Affari Interni e Territoriali, in un parere dell’11 dicembre 2024 (https://dait.interno.gov.it/pareri/101137), le citate norme non prevedono, diversamente da quanto avviene in materia di accesso documentale di cui agli artt. 22 e ss. della Legge n. 241/1990, la corresponsione, da parte dell’istante, di costi relativi ai “diritti di ricerca e di visura” (art. 25).

Gli esperti del Ministero hanno ricordato che, con riguardo alla natura dei costi addebitabili a fronte di una richiesta di accesso civico generalizzato, il Centro nazionale di competenza FOIA, istituito nell’ambito del Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha stabilito che le PP.AA. e gli enti interessati possono “addebitare i costi effettivamente sostenuti e documentati per la riproduzione dei dati e/o documenti su supporti materiali” e che “nel costo di riproduzione è possibile includere le spese per le fotoriproduzioni, per le scansioni di documenti disponibili soltanto in formato cartaceo, per la copia su supporti materiali, nonché per la spedizione qualora sia richiesta al posto dell’invio tramite posta elettronica”. Infine, il citato organismo ha precisato che “come avviene per l’accesso procedimentale alla documentazione urbanistica e/o edilizia, è possibile cumulare gli oneri in materia di bolli e i diritti di visura e di ricerca”.

Relativamente a tali ultimi costi, il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 1900/2015, ha stabilito che “l’Amministrazione deve comunque sostenere, quali costi generali, il cui finanziamento ricade sulla fiscalità generale, le spese relative alla predisposizione di uffici e personale dedicati, tra l’altro, al riscontro delle istanze di accesso … e non può pretendere di ripartirli pro-quota, nemmeno in forma forfetizzata, sui soggetti che esercitano l’accesso nella sola forma della visione, potendo, al limite esigere i diritti di ricerca e visura per i soli documenti di cui sia richiesta l’estrazione di copia”. L’Alto Consesso, pertanto, ha stabilito che “I diritti di ricerca e visura potranno essere richiesti soltanto per i documenti per i quali sia richiesta, dopo il loro esame, l’estrazione di copia”.

Da ultimo, in ordine alla concreta determinazione dei costi in argomento, si segnala che, ad avviso della giurisprudenza amministrativa, “l’Amministrazione non può imporre diritti svincolati dai criteri di ragionevolezza e proporzionalità (…) anche per non trasformare l’onere economico in un ostacolo all’esercizio del diritto di accesso o in una misura deterrente” e che si deve escludere che possano essere legittimamente imposti il pagamento di costi “eccedenti i prezzi medi praticati sul mercato, con esclusione dell’utile, in quanto l’amministrazione non può ricavare profitto dai soggetti che esercitano il diritto di accesso” (TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 16 giugno 2008, n. 643).

In sintesi, perciò, l’ente locale può procedere – nel rispetto dei richiamati limiti – a disciplinare con regolamento gli oneri connessi all’esercizio del diritto di accesso civico generalizzato.

Per completezza, si evidenzia che il Consiglio di Stato (A.P., sent. n.b10/2020) ha affermato che l’accesso civico generalizzato non può compromettere il buon andamento dell’Amministrazione che, conseguentemente, potrà respingere:

  • richieste manifestamente onerose o sproporzionate e, cioè, tali da comportare un carico irragionevole di lavoro idoneo ad interferire con il buon andamento della P.A.;
  • richieste massive uniche (v., sul punto, circolare FOIA n. 2/2017, par. 7, lett. d; Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 13 agosto 2019, n.5702) contenenti un numero cospicuo di dati o di documenti, o richieste massive plurime che pervengono in un arco temporale limitato e da parte dello stesso richiedente o da parte di più richiedenti ma comunque riconducibili ad uno stesso centro di interessi;
  • richieste vessatorie o pretestuose, dettate dal solo intento emulativo, da valutarsi ovviamente in base a parametri oggettivi.
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