Il compito della delibera consiliare nel riconoscimento del debito fuori bilancio
La disposizione contenuta nell’art. 194 lett. e) del TUEL individua la possibilità per l’ente locale di operare il riconoscimento di debito nel caso dell’avvenuta acquisizione irrituale di beni e servizi (in violazione, cioè, delle procedure di impegno di spesa contemplate dai commi 1, 2 e 3 dell’art. 191 del TUEL), purché ciò avvenga, da un lato, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente e, dall’altro, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza.
Dallo stesso enunciato normativo si ricava l’individuazione di due condizioni preliminari perché sia possibile procedere al riconoscimento dei debiti fuori bilancio:
- una concerne il tipo e la qualità della spesa (acquisizione di beni e servizi),
- l’altra il fine a cui è diretta la stessa (espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza dell’ente locale).
L’accertamento della sussistenza dei presupposti, come già più volte ricordato dalla giurisprudenza contabile (ex multis, Corte dei conti, sez. reg. di contr. Veneto, delibere n. 156/2009 e n. 107/2009), è obbligatorio e non può essere automaticamente ed implicitamente ricondotto alla semplice adozione della deliberazione di riconoscimento, in quanto vi può essere una parte del debito non riconoscibile ai sensi dell’art. 191, c. 4, del TUEL.
Come enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione, il riconoscimento del debito fuori bilancio “può avvenire solo espressamente, con apposita deliberazione dell’organo competente, e non può essere desunto anche dal mero comportamento tenuto dagli organi rappresentativi, insufficiente ad esprimere un apprezzamento di carattere generale in ordine alla conciliabilità dei relativi oneri con gli indirizzi di fondo della gestione economico-finanziaria dell’ente e con le scelte amministrative compiute” (Cass. civ., sez. I, sent. n. 24860/2015).
L’operatività della norma è, dunque, subordinata alla duplice condizione preliminare dell’accertamento sia dell’utilità pubblica del bene acquisito in relazione alle funzioni ed ai servizi di competenza dell’ente, sia dell’arricchimento dell’ente (che corrisponde al depauperamento patrimoniale sofferto senza giusta causa dal privato contraente ai sensi dell’art. 2041 del Codice civile). In questo contesto, come ricordato dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. Emilia-Romagna, nella delib. n. 110/2024, la delibera consiliare ha pertanto il compito di:
- riscontrare e dimostrare che il debito rientra in una delle fattispecie tipizzate dall’art.194 del TUEL;
- accertare e documentare puntualmente se ed in che misura sussistano i presupposti dell’utilità e dell’arricchimento;
- accertare, conseguentemente, se vi sia una parte del debito non sorretta da entrambi questi presupposti, e dunque non riconoscibile (per la quale, ai sensi dell’art. 191, comma 4, del TUEL, il rapporto obbligatorio intercorre tra il privato fornitore e l’amministratore, funzionario o dipendente che hanno consentito la prestazione in favore dell’ente);
- ricondurre l’obbligazione all’interno della contabilità e del sistema di bilancio dell’ente;
- individuare le risorse per il finanziamento;
- accertare le cause che hanno originato l’obbligo, anche al fine di evidenziare eventuali responsabilità (sez. reg. di contr. Veneto, delib. n. 103/2019).
In altri termini, l’art. 194, primo comma, del TUEL rappresenta un’eccezione ai principi riguardanti la necessità del preventivo impegno formale e della copertura finanziaria; onde per cui, al fine di riportare le ipotesi previste nell’ambito del principio di copertura finanziaria, è richiesta la delibera consiliare con la quale viene ripristinata la fisiologia della fase della spesa e i debiti de quibus vengono ricondotti a sistema, mediante l’adozione dei necessari provvedimenti di riequilibrio finanziario.