Mantenimento di residui attivi risalenti: il warning della Corte dei conti

Dinanzi alla presenza di un significativo ammontare di residui attivi con anzianità maggiore di cinque anni conservati al titolo I, la Corte dei conti, sez. reg. di contr. Marche, nella delib. n. 140/2024, depositata il 7 novembre 2024, ha sottolineato come “una idonea contabilizzazione delle partite creditorie in conformità alle norme del TUEL e del d.lgs. n. 118/2011 sia imprescindibile per garantire trasparenza, chiarezza, attendibilità e veridicità dei documenti di bilancio, oltre che indispensabile, per la salvaguardia dell’equilibrio economico-finanziario complessivo”.

In tale ambito, il principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria precisa che, a seguito dell’adozione a regime del principio della competenza finanziaria cd. potenziata, i residui sono interamente costituiti da obbligazioni scadute (d.lgs. n. 118/2011, all. 4/2, § 9.1); ebbene, l’impropria permanenza di residui attivi vetusti nel conto del bilancio, oltre ad inquinare la genuina determinazione del risultato di amministrazione, ha ricadute negative sugli equilibri del bilancio.

I giudici hanno rammentato gli arresti della giurisprudenza contabile secondo cui, sebbene il paragrafo 9.1. del principio contabile applicato della contabilità finanziaria (n. 4.2. del d.lgs. n. 118/2011) non imponga automaticamente la cancellazione dei residui attivi trascorsi tre anni dalla scadenza del credito non riscosso, tuttavia, il mantenimento di quelli più risalenti costituisce un’evenienza eccezionale che deve essere oggetto di adeguata ponderazione da parte dell’ente locale (sez. reg. di contr. Lombardia, delib. n. 55/2024/PRSP).

Il Collegio, quindi, ha invitato l’Ente a vigilare sulla descritta situazione dei residui attivi, tenendo conto delle conseguenze che possono derivare da un loro eventuale improprio mantenimento sul risultato di amministrazione e sulla salvaguardia degli equilibri di bilancio

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