Società a controllo pubblico fallita: il medesimo servizio non può essere affidato ad altra società in house

Come è noto, l’art. 14, comma 6, del TUSP (D.lgs. n. 175/2016) prevede che “nei cinque anni successivi alla dichiarazione di fallimento di una società a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti, le pubbliche amministrazioni controllanti non possono costituire nuove società, né acquisire o mantenere partecipazioni in società, qualora le stesse gestiscano i medesimi servizi di quella dichiarata fallita”.

Intervenendo sulla corretta interpretazione della disposizione, la Corte dei conti, sez. reg. di contr. Abruzzo, con la delib.. n. 219/2024/PAR, depositata il 25 settembre 2024, ha evidenziato che la norma, nel disporre il divieto di costituzione di nuova società, di acquisizione o, addirittura, di mantenimento di partecipazione in società che gestiscano i medesimi servizi di quella dichiarata fallita, implicitamente vieta l’affidamento di detti servizi ad altra società in house. Infatti, la ratio del

divieto è quella di impedire che per lo svolgimento di servizi precedentemente assegnati tramite affidamento diretto alla società fallita (dando, quindi, prova di pessima gestione) si faccia nuovamente ricorso allo stesso modulo gestionale mediante affidamento ad (altra) società controllata sia laddove questa sia già partecipata dall’ente, ovvero sia da costituirsi ex novo o nella quale acquisire una partecipazione.

Come già affermato in passato dalla sez. di contr. Regione Siciliana con la delib. n. 217/2018/PAR,

Si tratta, invero, di una disciplina a contenuto pubblicistico e sanzionatorio, che impone all’amministrazione di dismettere la veste di imprenditore pubblico e di procedere all’esternalizzazione del servizio, in conseguenza dell’insuccesso della formula societaria quale modulo organizzatorio di intervento diretto, comprovato dalla dichiarazione dello stato di insolvenza del soggetto partecipato. In definitiva, il <fallimento> dell’intervento pubblico è <sanzionato> con l’obbligo di ricorrere al mercato. L’amministrazione pubblica non potrà più assumere (almeno per cinque anni) l’organizzazione e la gestione del servizio attraverso la partecipazione a una società c.d. in house (ossia suscettibile di un controllo analogo a quello svolto nei confronti dei propri organi interni); dovrà, pertanto, ricorrere al mercato, avendo cura di esercitare le imprescindibili istanze di governance, ossia di coltivare gli interessi pubblici sottesi al servizio esternalizzato attraverso l’esercizio del controllo c.d. contrattuale sull’attività affidata e sul servizio erogato dal soggetto esterno affidatario”.

 

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