Il principio del risultato è ispiratore dell’intera disciplina del nuovo Codice degli appalti pubblici

L’art. 1 del Codice dei contratti pubblici (D.lgs. n. 36/2023) ha codificato il principio del risultato ed è collocato in testa alla disciplina del nuovo Codice dei contratti pubblici e tale principio è ispiratore della stessa, sovraordinato agli altri. Tale articolo, collocato in apertura della disciplina del nuovo Codice, dispone che le stazioni appaltanti e gli enti concedenti perseguono il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza.

Si tratta, pertanto, di un principio considerato quale valore dominante del pubblico interesse da perseguire attraverso il contratto e che esclude che l’azione amministrativa sia vanificata ove non si possano ravvisare effettive ragioni che ostino al raggiungimento dell’obiettivo finale che è:

  1. a) nella fase di affidamento giungere nel modo più rapido e corretto alla stipulazione del contratto;
  2. b) nella fase di esecuzione (quella del rapporto) il risultato economico di realizzare l’intervento pubblico nei tempi programmati e in modo tecnicamente perfetto.

Il principio della fiducia di cui all’art. 2 del nuovo Codice amplia i poteri valutativi e la discrezionalità della P.A., in chiave di funzionalizzazione verso il miglior risultato possibile. Tale fiducia, tuttavia, non può tradursi nella legittimazione di scelte discrezionali che, in ossequio ad un’interpretazione formalistica delle disposizioni di gara, tradiscono l’interesse pubblico sotteso ad una gara, le quali, per contro, dovrebbero in ogni caso tendere al suo miglior soddisfacimento (TAR Campania, Napoli, sez. V, sent. 6 maggio 2024, n. 2959).

Come ricordato recentemente dal Consiglio di Stato, sez. V, nella sent. 13 settembre 2024, n. 7571, il principio del risultato e quello della fiducia sono avvinti inestricabilmente: la gara è funzionale a portare a compimento l’intervento pubblico nel modo più rispondente agli interessi della collettività nel pieno rispetto delle regole che governano il ciclo di vita dell’intervento medesimo.

I giudici di Palazzo Spada, in particolare, in una controversia riguardante un appalto di lavori suddiviso in più lotti, il cui finanziamento poteva essere a rischio in quanto legato alla rigorosa tempistica del c.d. Superbonus, hanno stigmatizzato l’operato della stazione appaltante che non solo procedeva con ritardo alla stipula dei contratti e alla definizione dei progetti ma si rifiutava anche di individuare con l’aggiudicataria una soluzione concordata che consentisse almeno la realizzazione di alcuni lotti, considerato altresì che le tempistiche non avrebbero consentito di bandire una nuova gara; secondo i giudici, tale comportamento doveva considerarsi non in linea con il principio del risultato.

 

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