L’obbligazione pecuniaria discendente da un giudizio incardinato successivamente alla dichiarazione di dissesto e correlato, sul piano causale, a fatti risalenti, cronologicamente, a data anteriore al 31 dicembre dell’anno precedente a quello dell’ipotesi di bilancio riequilibrato, dovrà gravare, sotto il profilo amministrativo-contabile, unicamente in capo alla gestione liquidatoria: è il principio affermato dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. Puglia, nella delib. n. 113/2024/PAR, depositata il 28 agosto 2024.
Secondo i giudici contabili, tale principio è giustificato dalla circostanza che la competenza dell’organo straordinario di liquidazione è di carattere generale ed omnicomprensiva e deve intendersi riferita a tutti i riflessi debitori/pecuniari (anche se sopravvenuti ex novo) di “atti e fatti di gestione” antecedenti al dissesto.
Ed invero, se lo scopo della procedura di dissesto è quello di riportare l’Ente locale in bonis, escludendo dal relativo bilancio tutte le poste debitorie connesse alla gestione pregressa, appare corretto ritenere che siano da imputare alla gestione straordinaria, senza alcuna eccezione, tutte le poste causalmente e funzionalmente rivenienti da scelte e condotte gestionali antecedenti al dissesto, con l’unico limite rappresentato dall’approvazione del rendiconto della gestione che segna la chiusura della gestione liquidatoria.
Ne consegue che anche le obbligazioni pecuniarie, sorte ex lege all’esito del giudizio, siano da attrarre nella competenza dell’O.S.L. quante volte si riferiscano a giudizi intimamente correlati a fatti/atti di gestione anteriori alla dichiarazione di dissesto, non assumendo rilevanza alcuna la circostanza che l’obbligazione pecuniaria discenda da un provvedimento giurisdizionale non ricognitivo di un debito preesistente, ma di carattere costitutivo, atteso che, come più volte rilevato, ciò che riveste importanza decisiva è il dato della correlazione e, dunque, il nesso causale e funzionale che lega quell’obbligazione all’atto o fatto di gestione pregresso e non, invece, il momento in cui essa sorge.
Argomentare diversamente, e quindi ancorare il criterio di riparto al momento in cui sorge temporalmente il titolo esecutivo, significherebbe far dipendere l’applicazione del principio della par condicio creditorum ad un evento incerto, non controllabile ed imprevedibile, qual è la durata di un procedimento giurisdizionale.
Viceversa, in una procedura concorsuale – tipica di uno stato di dissesto – una norma che ancori ad una certa data il fatto o l’atto genetico dell’obbligazione è logica e coerente, proprio a tutela dell’eguaglianza tra i creditori, mentre la circostanza che l’accertamento del credito intervenga successivamente è irrilevante ai fini dell’imputazione. Secondo la Corte Costituzionale, sarebbe “irragionevole il contrario, giacché farebbe difetto una regola precisa per individuare i crediti imputabili alla gestione commissariale o a quella ordinaria e tutto sarebbe affidato alla casualità del momento in cui si forma il titolo esecutivo, anche all’esito di una procedura giudiziaria di durata non prevedibile. La fissazione di una data per distinguere le due gestioni avrebbe un valore soltanto relativo, né sarebbe perseguito in modo efficace l’obiettivo di tenere indenne la gestione ordinaria […] dagli effetti del debito pregresso […]” (sent. 21 giugno 2013, n. 154).