Se il finanziamento viene revocato, le spese relative ai lavori eseguiti non possono considerarsi debiti fuori bilancio e la fattispecie rimane inquadrabile nell’alveo delle ordinarie attività di gestione del bilancio, anche sussumibili nell’archetipo normativo delle passività pregresse, ossia spese che, a differenze dei debiti fuori bilancio, si collocano all’interno di un ordinario procedimento di spesa: è quanto affermato dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. Basilicata, nella delib. n. 131/2024/PAR, depositata il 23 luglio 2024.
Secondo i giudici, sarà onere dell’ente, nell’ambito della propria discrezionalità amministrativa e gestoria, individuare la soluzione contabile idonea ad assicurare regolare copertura della spesa, tenendo presenti le differenti fonti gius-contabili per la quota capitale, da un lato, e gli interessi legali, gli interessi di mora e l’eventuale somma comminata a titolo di sanzione, dall’altro.
Il principio che se ne può ricavare è che la successiva emersione della non finanziabilità di un intervento comporta il venir meno dell’accertamento della corrispondente entrata e, quindi, del finanziamento che assicurava la copertura finanziaria della spesa nel frattempo sostenuta, così determinando una situazione di squilibrio nei conti dell’ente; al fine di ovviare a tale squilibrio sarà necessario prevedere in bilancio, in sostituzione della entrata non più riconosciuta, una diversa entrata idonea ad assicurare la copertura della spesa in questione.