Come noto, l’azione della Pubblica Amministrazione può esplicarsi tanto nelle forme del diritto pubblico, quanto in quelle proprie del diritto privato.
L’attività negoziale della P.A., intesa come l’insieme di atti e comportamenti preordinati, direttamente o indirettamente, al perseguimento di un fine pubblico, è espressione dell’autonomia privata della stessa che trova il proprio fondamento nella libertà di iniziativa garantita, costituzionalmente e legislativamente, a tutte le persone giuridiche, e, dunque, anche agli enti pubblici titolari sia di poteri autoritativi che della capacità di agire in base alle regole del diritto comune.
A differenza del passato, in cui l’Amministrazione pubblica aveva il dovere di agire attraverso i propri poteri di imperio, ponendo in essere atti unilaterali, oggi è pacifico che la stessa possa realizzare un fine pubblico anche mediante l’attività contrattuale ordinaria. Ciò è, ora, espressamente previsto dall’art. 1, c. 1-bis della L. n. 241/1990 (introdotto dalla L. n. 15/2005), secondo cui “la Pubblica Amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente”.
Come evidenziato dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. Emilia-Romagna, nella delib. N. 36/2024/PAR, depositata lo scorso 21 maggio, la Pubblica Amministrazione (e, quindi, anche il Comune), nell’esercitare la sua riconosciuta capacità di diritto privato, deve rispettare il cd. “vincolo di funzionalizzazione” al perseguimento di pubblici interessi. La P.A., anche quando agisce iure privatorum, non è libera nella scelta dei fini da perseguire, ma è sempre vincolata al perseguimento del pubblico interesse.
La generale soggezione dell’amministrazione al diritto comune rappresenta, pertanto, ormai un principio del nostro ordinamento. L’esistenza in capo a ciascun ente pubblico di una generale capacità di diritto privato è da ritenersi peraltro un dato ormai acquisito da tempo (cfr., ex multis: Cass., S.U. 16 aprile 1952, n. 983; Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 12 marzo 1990, n. 374; e sent. 4 dicembre 2001 n. 6073).
Il riconoscimento della capacità generale di diritto privato e del conseguente assoggettamento dell’amministrazione alle norme di diritto privato induce inevitabilmente a ritenere applicabili alla stessa tutte le norme del Codice civile e le regole del diritto comune, salve le disposizioni espressamente derogatorie.