1

Non sono di rappresentanza le spese per dipendenti e familiari di dipendenti e amministratori

Le spese per l’acquisto di una medaglia d’oro da assegnare a un dipendente che ha cessato il servizio per collocamento a riposo e per gli annunci funebri per familiari di dipendenti e organi di governo dell’ente non possono considerarsi spese di rappresentanza destinate ad accrescere o mantenere il prestigio dell’ente: è quanto affermato dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. per la Lombardia, nella delib. n. 64/2024/VSG, depositata lo scorso 11 marzo, ribadendo un principio già espresso in passato (cfr. delib. n. 88/2014/IADC), secondo cui non è configurabile il presupposto della “rappresentatività” quando le spese sono effettuate in favore dei dipendenti o degli amministratori operanti per l’ente medesimo.

Come è noto, la nozione di spesa di rappresentanza si configura quale voce di costo essenzialmente finalizzata ad accrescere il prestigio e la reputazione della singola P.A. verso l’esterno. Le relative spese devono assolvere il preciso scopo di consentire all’ente locale di intrattenere rapporti istituzionali e di manifestarsi all’esterno in modo confacente ai propri fini pubblici.

Tale qualificazione finalistica comporta l’esclusione delle spese per l’esercizio di funzioni istituzionali, rientranti nell’attività tipica e nelle competenze dell’ente, quale modalità di estrinsecazione dell’attività amministrativa in un determinato settore in conformità agli obiettivi programmati.

Le spese di rappresentanza devono dunque rivestire il carattere dell’inerenza, ossia essere strettamente connesse con il fine di mantenere o accrescere il ruolo, il decoro e il prestigio dell’ente medesimo, nonché possedere il crisma dell’ufficialità, nel senso che esse finanziano manifestazioni della pubblica amministrazione idonee ad attrarre l’attenzione di ambienti qualificati o dei cittadini amministrati al fine di ricavare i vantaggi correlati alla conoscenza dell’attività amministrativa.

L’attività di rappresentanza ricorre in ogni manifestazione ufficiale attraverso gli organi muniti, per legge o per statuto, del potere di spendita del nome della pubblica amministrazione di riferimento.

La violazione dei criteri finalistici appena indicati conduce all’illegittimità della spesa sostenuta dall’ente per finalità che fuoriescono dalla rappresentanza.

Sotto il profilo gestionale, l’economicità e l’efficienza dell’azione della pubblica amministrazione impongono il carattere della sobrietà e della congruità della spesa di rappresentanza sia rispetto al singolo evento finanziato, sia rispetto alle dimensioni e ai vincoli di bilancio dell’ente locale che le sostiene.

La violazione dei criteri che presiedono alla sana gestione finanziaria comporta il venir meno dei requisiti di razionalità ed economicità cui l’attività amministrativa deve sempre tendere ai sensi dell’art. 97 Cost. (ex multis Sez. Contr. Regione Lombardia, delibere n. 243 e 244 del 2018; in termini, Sez. Giur. Sicilia, sent. n. 617 e 754 del 2018).

Dalla copiosa casistica giurisprudenziale in materia, volta ad analizzare le varie tipologie di spese per verificarne la riconducibilità nell’alveo delle spese di rappresentanza, si trare la conclusiva considerazione che non sono considerate tali:

  • gli atti di mera liberalità;
  • le spese di ospitalità effettuate in occasione di visite di soggetti in veste informale o non ufficiale;
  • l’acquisto di generi di conforto in occasione di riunioni della Giunta o del Consiglio Comunale;
  • omaggi, pranzi o rinfreschi offerti ad Amministratori o dipendenti;
  • ospitalità e/o pasti a favore di fornitori dell’ente o di soggetti legati all’ente da rapporti di tipo professionale o commerciale (affidatari di incarichi, consulenze, collaborazioni, ecc.);
  • spese connesse con l’attività politica volte a promuovere l’immagine degli amministratori e non l’attività o i servizi offerti alla cittadinanza.