1

Lo scavalco condiviso: le ultime indicazioni della Corte dei conti

L’istituto dello “scavalco condiviso” è espressamente disciplinato dall’ordinamento generale del pubblico impiego che – nell’ottica dell’attenuazione del vincolo di esclusività della prestazione – riconosce ai lavoratori a tempo parziale la possibilità di svolgere attività lavorativa per altri enti (art. 53, comma 1, D.lgs. n. 165/2001).

Per gli enti locali, ai sensi dell’art. 1, comma 124, della Legge n. 145/2018, è consentito utilizzare personale assegnato ad altri Enti per periodi predeterminati e per una parte delle 36 ore settimanali – che costituiscono il tempo di lavoro d’obbligo – mediante convenzione volta a definire, tra l’altro, la ripartizione degli oneri finanziari (c.d. scavalco condiviso o co-utilizzo).

La ratio dell’istituto è quella di soddisfare la migliore realizzazione dei servizi istituzionali e di conseguire una economica gestione delle risorse. La norma dispone, infatti, che, a tali fini “gli enti locali possono utilizzare, con il consenso dei lavoratori interessati, personale assegnato da altri enti, cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto funzioni locali, per periodi predeterminati e per una parte del tempo di lavoro d’obbligo, mediante convenzione e previo assenso dell’ente di appartenenza. La convenzione definisce, tra l’altro, il tempo di lavoro in assegnazione, nel rispetto del vincolo dell’orario settimanale d’obbligo, la ripartizione degli oneri finanziari e tutti gli altri aspetti utili per regolare il corretto utilizzo del lavoratore. […].

Come evidenziato dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. Puglia, nella delib. n. 149/2023/PAR, depositata lo scorso 16 novembre, con l’avvalimento parziale del dipendente in servizio presso un altro ente non si è al cospetto di una prestazione lavorativa totalmente trasferita, come nell’ipotesi del “comando” ma di fronte ad una più duttile utilizzazione convenzionale. Ed invero, il legislatore prescrive che, in sede di convenzione, debba essere definito il quomodo di ripartizione del carico finanziario.

Nello “scavalco condiviso”, infatti, il lavoratore mantiene il rapporto d’impiego con l’amministrazione originaria, rivolgendo solo parzialmente le proprie prestazioni in favore di un altro ente, nell’ambito dell’unico rapporto alle dipendenze del soggetto pubblico principale. Pertanto, quand’anche la convenzione sottoscritta fra le amministrazioni preveda una ripartizione del carico finanziario della spesa complessiva, già in essere per il dipendente, attribuendone una quota parte in capo all’ente utilizzatore, la fattispecie in esame non può mai integrare la costituzione di un nuovo rapporto di impiego per la mancanza di un vincolo contrattuale diretto tra l’ente che si avvale delle prestazioni “a scavalco” ed il lavoratore, trattandosi di un modulo organizzativo di condivisione del personale fra amministrazioni pubbliche.

Va rilevato come l’indirizzo espresso si ponga in linea di continuità con l’interpretazione enunciata dalla Sezione delle Autonomie (delib. n. 23/SEZAUT/2016/QMIG), in cui si è affermato che l’istituto in discorso individua una modalità di utilizzo del dipendente pubblico da parte di più enti, per periodi predeterminati e per una parte del tempo di lavoro d’obbligo, senza che si possa configurare un autonomo rapporto di lavoro a tempo parziale, o un’assunzione.

La soluzione ermeneutica appena illustrata non esime, tuttavia, dal mettere in luce come il ricorso al ricordato strumento organizzativo – di per sé legittimo ed ammissibile – debba avvenire in modo coerente con la relativa funzione ordinamentale, nel rispetto della concreta necessità di assicurare il regolare svolgimento di un servizio per l’effettivo fabbisogno dell’Ente e nell’ambito dei limiti di legge. Come precisato dalla Sezione delle Autonomie, “trattasi di fattispecie concreta a sé stante che individua una modalità di utilizzo reciproco del dipendente pubblico da parte di più enti, mediante il quale, ‘rimanendo legato all’unico rapporto d’impiego con l’ente locale originario, il lavoratore rivolgerebbe parte delle proprie prestazioni lavorative anche di detto comune in forza dell’autorizzazione dell’ente di appartenenza, di cui la convenzione regolativa dei rapporti giuridici tra i due enti assumerebbe carattere accessivo”. Ne consegue che nel caso di scavalco condiviso “se, da un lato, permane la titolarità dell’originario rapporto lavorativo con l’ente di appartenenza, dall’altro non può essere rilevata – dal punto di vista dell’utilizzatore – la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro” (sez. reg. di contr. Puglia, delib. n. 80/2022; sez. reg. di contr. Molise, delib. n. 35/2015/PAR; n. 105/2016/PAR; n. 109/2017/PAR).

Si osserva, altresì, che nell’ipotesi di scavalco condiviso le spese sostenute pro quota dall’ente di destinazione per la prestazione lavorativa condivisa con l’ente di appartenenza saranno da computarsi, in ogni caso, nella spesa per il personale ai sensi dell’art.1, commi 557 o 562, della Legge n. 296/2006 e, conseguentemente, saranno soggette alle relative limitazioni (Sez. Autonomie, delib. n. 23/2016; sez. reg. di contr. Molise, delib. n. 105/2016/PAR).