Lo scavalco di eccedenza: le ultime indicazioni della Corte dei conti
La fattispecie denominata “scavalco d’eccedenza” trova la propria disciplina, originariamente, nell’art. 1, comma 557, della Legge n. 311/2004, secondo cui “I comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, i consorzi tra enti locali gerenti servizi a rilevanza non industriale, le comunità montane e le unioni di comuni possono servirsi dell’attività lavorativa di dipendenti a tempo pieno di altre amministrazioni locali purché autorizzati dall’amministrazione di provenienza”.
Il limite demografico dei 5.000 abitanti per il ricorso allo scavalco di eccedenza è stato esteso dapprima ai comuni con popolazione sino a 15.000 abitanti (DL n. 44/2023, art. 3, comma 6 bis, convertito in Legge n. 74/2023) e successivamente ai comuni con popolazione sino a 25.000 abitanti (DL 75/2023, art. 28 ter, convertito in Legge n. 112/2023).
Con tale estensione il legislatore ha voluto eliminare eventuali limitazioni che in precedenza non consentivano di ricorrere allo scavalco di eccedenza favorendo, in una visione più garantista e ispirata ai principi di parità di trattamento, ragionevolezza e proporzionalità, la formula organizzativa dello scavalco per rimediare alle precarie situazioni degli enti locali nello svolgimento delle funzioni amministrative.
Alla luce della modifica apportata in sede di conversione in legge, il testo del comma 557 risulta ora il seguente: “I Comuni con popolazione inferiore ai 25.000 abitanti, i consorzi tra enti locali gerenti servizi a rilevanza non industriale, le comunità montane e le unioni di comuni possono servirsi dell’attività lavorativa di dipendenti a tempo pieno di altre amministrazioni locali purché autorizzati dall’amministrazione di provenienza”.
Come evidenziato dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. Puglia, nella delib. n. 149/2023/PAR, depositata lo scorso 16 novembre, dalla lettura della norma emerge che:
- gli incarichi conferibili a dipendenti di terze amministrazioni sono circoscritti all’ambito degli enti locali;
- essi dovranno essere svolti fuori orario;
- occorre la previa autorizzazione dell’ente di appartenenza del dipendente; ovviamente, detta autorizzazione potrebbe non essere concessa se si individuassero ragioni organizzative ostative;
- non è prevista la necessità di alcuna convenzione tra i due enti interessati, a differenza di quanto accade nell’ipotesi dello scavalco condiviso, oggi regolato dall’art. 23 del CCNL 16 novembre 2022.
Dal punto di vista interpretativo, richiamando le diverse deliberazioni della giurisprudenza contabile (sez. reg. di contr. Puglia, delib. n. 80/2022/PAR; sez. reg. di contr. Molise, delib. n. 109/2017/PAR e n. 105/2016/PAR; sez. reg. di contr. Lombardia, delib. n. 3/2009/PAR), l’inquadramento degli incarichi è formalizzato attraverso la stipula di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato e parziale, regolato dal CCNL del Comparto delle Funzioni locali e contenuto entro le 12 ore settimanali medie, in modo da garantire il rispetto delle 48 ore settimanali medie imposte dall’art. 4, comma 4, del Decreto Legislativo n. 66/2003, richiamato dall’art. 29, comma 2, del CCNL medesimo. Si tratterà di un contratto diverso e distinto rispetto a quello intrattenuto dal dipendente con l’ente di appartenenza, che comporterà l’applicazione degli istituti contrattuali previsti per i contratti a tempo determinato e parziale.
Gli incarichi in esame devono essere previsti e motivati nel piano triennale dei fabbisogni di personale, nell’ambito del PIAO e rientrano fra la spesa di personale a tutti gli effetti e, come stabilito dalla Sezione delle Autonomie con la deliberazione 23/SEZAUT/2016/QMIG, sono soggetti:
- al comma 557 o 562 della Legge n. 296/2006 (spesa media 2011/2013 o spesa dell’anno 2008);
- al limite di spesa per il lavoro flessibile ex art. 9 comma 28 del DL n. 78/2010 (tetto 2009).
La Sezione delle Autonomie, con la deliberazione n. 23/2016/QMIG, ha chiarito che “se l’Ente decide di utilizzare autonomamente la prestazione di un dipendente a tempo pieno presso altro ente locale al di fuori del suo ordinario orario di lavoro, la prestazione aggiuntiva andrà ad inquadrarsi all’interno di un nuovo rapporto di lavoro autonomo o subordinato a tempo parziale, i cui oneri dovranno essere computati ai fini del rispetto dei limiti di spesa imposti dall’art. 9, comma 28, per la quota di costo aggiuntivo”. Invero, con tale normativa il legislatore ha compiuto una precisa scelta, prevedendo una specifica limitazione volta a ridurre il ricorso alternativo a forme di lavoro flessibili in senso ampio (cioè, diverse dal tempo pieno e subordinato di cui all’art. 36, comma 1, del D.lgs. n.165 del 2001), ricomprendendo tutte le prestazioni che vengono svolte al di fuori di un rapporto esclusivo, indeterminato e “burocratizzato” in senso tradizionale.
Pertanto, il comune dovrà ridurre la spesa complessiva per i contratti “a tempo determinato” o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa”, in una misura pari al 50% di quella sostenuta nel 2009 (cfr. sez. reg. di contr. Lombardia, delib. n. 303/2014/PAR).