Il FGDC non serve a fronteggiare eventuali richieste di interessi a fronte di pagamenti ritardati
Il fondo garanzia debiti commerciali non serve a fronteggiare eventuali richieste di interessi a fronte di pagamenti ritardati: è quanto evidenziato dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. per il Piemonte, nella delib. n. 86/2023/PRSE, depositata lo scorso 6 novembre, stigmatizzando la giustificazione fornita dal comune per il relativo stanziamento e ritenendo non accoglibile la tesi dell’ente locale secondo cui, in assenza di addebiti di interessi moratori o di penalità per ritardo da parte dei creditori, l’accantonamento nel risultato di amministrazione possa considerarsi superfluo.
La ratio dell’accantonamento del fondo di garanzia non mira a rendere disponibili risorse per il pagamento di interessi o penalità di mora, bensì, come anche sottolineato dalla Corte Costituzionale con la pronuncia n. 78/2020, “nell’esigenza di sopperire alla incapacità dell’ente di coordinare l’assunzione di obbligazioni (legittimamente iscritte in bilancio) con la effettiva disponibilità della liquidità necessaria al loro pagamento alle scadenze di legge. Per tale aspetto, dunque, le norme impugnate perseguono la finalità propria dei principi di coordinamento della finanza pubblica, atteso il fondamentale rilievo che, come si è visto, assume il rispetto dei termini di pagamento previsti dal d.lgs. n. 231 del 2002 e dalla relativa normativa europea”.
Sempre secondo l’autorevole pronuncia, “il fondo da appostare in bilancio rappresenta, infatti, una soluzione contabile e gestionale funzionale a consentire all’amministrazione di disporre di liquidità necessaria a velocizzare i pagamenti delle proprie obbligazioni commerciali e a ridurre la relativa voce di debito residuo. (…) Pertanto, se è pur vero che – imponendo l’obbligatorio accantonamento nel fondo di nuova istituzione – le norme limitano la piena disponibilità delle risorse dell’ente in sede di predisposizione del bilancio e di programmazione della spesa, è tuttavia evidente che ciò rappresenta il coerente strumento con cui le disposizioni stesse hanno inteso porre un rimedio all’accertata violazione dei termini di pagamento. Difatti, quest’ultima patologica situazione consegue di regola al fatto che l’ente, nell’esercizio della sua autonomia gestionale e di bilancio, non ha coordinato la programmazione e l’impegno delle proprie obbligazioni, legittimamente assunte e vincolanti, con la disponibilità di cassa necessaria alle previste scadenze di pagamento”.
L’ulteriore “e indiretto effetto positivo di ridurre l’esposizione dell’amministrazione a titolo di interessi passivi sui pagamenti tardivi”, secondo i Giudici di Palazzo della Consulta, è ravvisabile solo quale conseguenza della diminuzione dei ritardi nei pagamenti operati ai fornitori.