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Falsa attestazione presenza in servizio da parte del pubblico dipendente: scatta la responsabilità erariale

La falsa attestazione della presenza in servizio da parte del pubblico dipendente realizza una condotta tipicamente causativa di danno erariale: è quanto ribadito dalla Corte dei conti, sez. giurisd. Toscana, nella sent. n. 97/2023, depositata lo scorso 3 novembre.

Ed infatti, il secondo comma dell’articolo 55-quinquies del d.lgs. n. 165/2001 prevede che “nei casi di falsa attestazione della presenza in servizio”, ferme la responsabilità penale e disciplinare e le relative sanzioni, il dipendente “è obbligato a risarcire il danno patrimoniale, pari al compenso corrisposto a titolo di retribuzione nei periodi per i quali sia accertata la mancata prestazione, nonché il danno all’immagine subito dall’amministrazione”.

Il danno patrimoniale è ravvisabile in quanto la P.A. ha comunque corrisposto una retribuzione a fronte di attività lavorativa in realtà non svolta. La falsa attestazione della presenza in servizio determina, invero, l’interruzione del sinallagma intercorrente tra la prestazione lavorativa del dipendente e la retribuzione corrispostagli dall’amministrazione di appartenenza (cfr. Corte dei conti, sez. giursd. Emilia-Romagna, sentt. n. 197/2020 e n. 79/2021): con la falsa attestazione della presenza in servizio, quindi, si viola il nesso di corrispettività tra quanto percepito a titolo di retribuzione e le prestazioni lavorative corrispondenti.

La falsa attestazione della presenza in servizio comporta, inoltre, la responsabilità per il danno all’immagine: detta tipologia di danno non  coincide con il fatto lesivo in sé, bensì con la lesione (perdita di prestigio) che costituisce conseguenza del fatto lesivo (Corte dei conti, SS.RR., sent. n. 1 del 18 gennaio 2011).

Il danno da perdita di immagine pubblica deve essere inteso quale “danno conseguente alla grave perdita di prestigio ed al grave detrimento dell’immagine e della personalità pubblica” (Corte dei conti, Sezioni Riunite, sent. n. 1/2011 cit.), in relazione alla quale “negli amministrati, o se si vuole nello Stato Comunità, si incrinano quei naturali sentimenti di affidamento e di “appartenenza” alle istituzioni che giustifica la stessa collocazione dello Stato Apparato e degli altri Enti, e specialmente degli Enti Territoriali (quali enti “esponenziali” della collettività residente nel loro territorio), tra “le più rilevanti formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità dell’uomo”, ex art. 2 Cost.” (Corte dei conti, sez. III app., sent. n. 143 del 9 aprile 2009).