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Incarico esterno di un dipendente pubblico in assenza di autorizzazione: scatta la responsabilità erariale

Lo svolgimento, da parte del dipendente pubblico, di un incarico esterno retribuito, svolto in assenza di specifica ed espressa autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza, configura una specifica fattispecie di responsabilità erariale, punita con l’obbligo di versare alla propria Amministrazione gli emolumenti indebitamente percepiti: è quanto ribadito dalla Corte dei conti, sez. giurisd. Veneto, nella sent. n. 117/2023, depositata lo scorso 18 ottobre, richiamando l’art. 53, comma 7, del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che fa divieto al pubblico dipendente di svolgere attività retribuita che non sia stata conferita o previamente autorizzata dalla propria Amministrazione.

La giurisprudenza contabile, ormai consolidata in materia, ha più volte indicato la ratio del divieto di cui sopra nella esclusività della prestazione lavorativa nell’ambito di un rapporto di pubblico impiego sancita dall’art. 98, comma 1, della Carta fondamentale (secondo cui “I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”). È stato ampiamente sottolineato come – in disparte le ipotesi, espressamente previste, di incompatibilità assoluta– il pubblico dipendente possa svolgere incarichi retribuiti solo quando sia l’amministrazione di appartenenza che – previa una verifica dei presupposti di fatto e di diritto – li conferisca o li autorizzi espressamente valutando se tali attività, anche occasionali – non comprese nei compiti e doveri di ufficio e per le quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso – siano compatibili e non confliggano con il rapporto d’impiego in essere e la prestazione richiesta al proprio dipendente (vedi ex multis: Corte dei conti, Sez. giurisdizionale per la Regione Emilia Romagna, n. 174 del 2017, Sez. II giurisdizionale App., n. 232/2021; Sez. giurisdizionale per la Regione Abruzzo, n.133/2021, Sez. giurisdizionale per la Regione Basilicata n.4/2022, Sez. giurisdizionale Veneto, sent. n. 16/2023).

Il citato art. 53, comma 7, prescrive, quindi, che “in caso di inosservanza del divieto, salve le più gravi sanzioni e ferma restando la responsabilità disciplinare, il compenso dovuto per le prestazioni eventualmente svolte dev’essere versato, a cura dell’erogante o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata del bilancio dell’amministrazione di appartenenza del dipendente per essere destinato ad incremento del fondo di produttività o di fondi equivalenti”.

In forza di dette disposizioni, dunque, va affermato che il dipendente pubblico può svolgere legittimamente incarichi retribuiti non compresi nei compiti d’ufficio soltanto se questi gli sono stati conferiti dall’amministrazione di appartenenza oppure preventivamente e formalmente autorizzati; diversamente, l’espletamento di attività extraistituzionali risulta illegittimo e determina l’insorgere dell’obbligo di versamento del relativo compenso nel conto dell’entrata del bilancio dell’Amministrazione di appartenenza.