Le richieste di occupazione di suolo pubblico, pervenute all’ufficio del comune in un biennio e gli importi delle conseguenti entrate registrate dall’ente locale sono oggetto di accesso civico: è quanto affermato dal TAR Lazio, Latina, sez. II, nella sent. 25 settembre 2023, n. 684.
Secondo i giudici, l’esercizio del diritto di accesso civico non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente (art. 5 del Decreto Legislativo n. 33/2013) e l’istanza presentata risultava adeguatamente circoscritta, non essendo necessaria la specificazione da parte dell’istante degli scopi dell’accesso né essendo prescritta o consentita una valutazione da parte dell’amministrazione della congruenza dell’istanza rispetto a tali scopi o della utilità dell’accesso rispetto allo spirito della legge.
È chiaro che l’accesso civico non è privo di limiti. A parte quelli individuati dall’art. 5-bis del Decreto n. 33/2013, è stato affermato che sono comunque inammissibili “richieste manifestamente onerose o sproporzionate e, cioè, tali da comportare un carico irragionevole di lavoro idoneo a interferire con il buon andamento della pubblica amministrazione; richieste massive uniche … contenenti un numero cospicuo di dati o di documenti, o richieste massive plurime, che pervengono in un arco temporale limitato e da parte dello stesso richiedente o da parte di più richiedenti ma comunque riconducibili ad uno stesso centro di interessi; richieste vessatorie o pretestuose, dettate dal solo intento emulativo, da valutarsi ovviamente in base a parametri oggettivi” (in questo senso: Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 2 aprile 2020, n. 10).
Nel caso esaminato dal TAR Latina, l’istanza di accesso risultava perfettamente in linea con gli scopi dell’accesso civico, dato che in ultima analisi la richiedente, residente nel comune (e, quindi, contribuente di tale ente), aveva chiesto una categoria di documenti riguardanti l’uso di risorse pubbliche (risorse per natura limitate) e il controllo sull’uso delle risorse pubbliche è chiaramente uno dei terreni di elezione dell’accesso civico.
Gli atti richiesti d’altro lato – tenuto anche conto che l’istanza è stata rivolta a un piccolo comune e non a una città più o meno grande – non sembravano costituire una massa eccessiva tale da implicare una grande mole di lavoro per l’amministrazione o addirittura comprometterne il regolare funzionamento; certamente le autorizzazioni richieste coprono un periodo di tempo relativamente esteso (due anni) ma – ove ciò avesse costituito un problema (in termini ad es. di particolare onerosità della ricerca) – il comune avrebbe potuto (e dovuto) fare presente, nell’ottica del “dialogo collaborativo” con l’istante le proprie difficoltà (proponendo ad es. alla istante una limitazione dell’oggetto della richiesta o una scaglionamento nel tempo del suo soddisfacimento).
Secondo i giudici, inoltre, l’istanza non risultava vessatoria né pretestuosa o emulativa; né, nel caso specifico, si poneva un problema di riservatezza, visto che non si comprendeva quali potevano essere i dati personali o sensibili contenuti negli atti di autorizzazione all’occupazione di spazi pubblici né come la ostensione di questi atti potesse compromettere la riservatezza o gli interessi economici e commerciali di chi abbia ottenuto il beneficio di occupare (e trarre vantaggio economico da tale occupazione) aree pubbliche.