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I piani di razionalizzazione delle partecipazioni pubbliche (prima parte)

Come ricordato recentemente dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. per la Campania, nella delib. n. 240/2023/VSG, i piani di razionalizzazione sono misure organizzative periodiche che verificano le condizioni di mantenimento delle partecipazioni in singole società partecipate e/o l’esigenza di adozione di misure correttive, onde evitare che le stesse producano sistematicamente perdite per gli enti partecipanti o, comunque, che generino spese prive di copertura finanziaria.

Sotto tale profilo, l’art. 24, comma 5, del TUSP (Decreto Legislativo n. 175/2016) ha previsto una revisione straordinaria delle partecipazioni in società pubbliche, specificando che “le partecipazioni detenute, direttamente o indirettamente, dalle amministrazioni pubbliche alla data di entrata in vigore del presente decreto in società non riconducibili ad alcuna delle categorie di cui all’art. 4 ovvero che non soddisfano i requisiti di cui all’articolo 5, commi 1 e 2 … sono alienate … A tal fine, entro il 30 settembre 2017, ciascuna amministrazione pubblica effettua con provvedimento motivato la ricognizione di tutte le partecipazioni possedute alla data di entrata in vigore del presente decreto, individuando quelle che devono essere alienate …”. Trattasi, quindi, di una operazione posta in essere una tantum a seguito dell’entrata in vigore del TUSP.

Nel contempo, il precedente art. 20 va ad istituzionalizzare il fenomeno, disciplinando la “razionalizzazione periodica delle partecipazioni pubbliche”; detta disposizione prevede che le amministrazioni pubbliche effettuano annualmente, con proprio provvedimento, un’analisi dell’assetto complessivo delle società in cui detengono partecipazioni, dirette o indirette. Ove rilevino partecipazioni societarie che non rientrano nei limiti finalistici di cui all’art. 4, partecipazioni in società che nel triennio precedente abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro o che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti (fatte salve le società che gestiscono un servizio di interesse generale), o altra delle ipotesi di cui al comma 2, predispongono un “piano di riassetto per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione, anche mediante messa in liquidazione o cessione”.

Emerge con evidenza la ratio della disposizione, ossia quella di stimolare la dismissione degli enti societari sistematicamente in perdita o non in linea con le finalità istituzionali dell’ente, in guisa tale da assicurare il perseguimento degli scopi sottesi al TUSP.

I predetti provvedimenti devono essere adottati entro il 31 dicembre di ogni anno e trasmessi alla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti competente ai sensi dell’art. 5, comma 4, del TUSP. Inoltre, in caso di adozione del piano, è necessario approvare una relazione sull’attuazione dello stesso, anch’essa trasmessa alla Corte dei conti.

Più precisamente, il percorso di razionalizzazione imposto dall’art. 20, comma 2, del TUSP indica i seguenti criteri:

  1. partecipazioni societarie che non rientrino in alcuna delle categorie di cui all’articolo 4 (ossia, “società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali” o che, comunque, non rientrano nelle altre ipotesi enumerate dall’art. 4);
  2. società che risultino prive di dipendenti o abbiano un numero di amministratori superiore a quello dei dipendenti;
  3. partecipazioni in società che svolgono attività analoghe o similari a quelle svolte da altre società partecipate o da enti pubblici strumentali;
  4. partecipazioni in società che, nel triennio precedente, abbiano conseguito un fatturato medio non superiore a un milione di euro (l’art. 26, comma 12-quinquies, del TUSP, inserito dal d.lgs. correttivo n. 100/2017, ha precisato che “ai fini dell’applicazione del criterio di cui all’articolo 20, comma 2, lettera d), il primo triennio rilevante è il triennio 2017-2019”);
  5. partecipazioni in società diverse da quelle costituite per la gestione di un servizio d’interesse generale che abbiano prodotto un risultato negativo per quattro dei cinque esercizi precedenti;
  6. necessità di contenimento dei costi di funzionamento;
  7. necessità di aggregazione di società aventi ad oggetto le attività consentite all’art. 4.