Come è noto, l’art. 61, comma 9, del DL n. 112/2008 (convertito con la Legge n. 133/2008) dispone che “Il 50 per cento del compenso spettante al dipendente pubblico per l’attività di componente o di segretario del collegio arbitrale è versato direttamente ad apposito capitolo del bilancio dello Stato; il predetto importo è riassegnato al fondo di amministrazione per il finanziamento del trattamento economico accessorio dei dirigenti ovvero ai fondi perequativi istituiti dagli organi di autogoverno del personale di magistratura e dell’Avvocatura dello Stato ove esistenti; la medesima disposizione si applica al compenso spettante al dipendente pubblico per i collaudi svolti in relazione a contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche ai corrispettivi non ancora riscossi relativi ai procedimenti arbitrali ed ai collaudi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
Sulla corretta applicazione della norma riportata è intervenuta la Corte dei conti, sez. giurisd. Veneto, nella sent. n. 100/2023, depositata lo scorso 27 luglio, evidenziando che tale disposizione “impone evidentemente proprio al soggetto che eroga il compenso di provvedere alla corretta ripartizione dello stesso, corrispondendone il 50% all’Amministrazione di appartenenza del dipendente incaricato del collaudo ed il restante 50%, a titolo di incentivo, allo stesso dipendente”. Conseguentemente, deve ritenersi gravemente colposo, con quanto ne consegue anche in termini di responsabilità erariale, il comportamento del funzionario comunale che, anziché ripartire il pagamento, riconosce l’intera somma dovuta a titolo di compenso al dipendente incaricato di un collaudo di un’opera pubblica; parimenti, genera responsabilità erariale il comportamento del dipendente che, avendo ricevuto l’intera somma, non ha provveduto al riversamento della metà all’Amministrazione di appartenenza.