Accessibili dal dipendente pubblico interessato i documenti relativi al procedimento disciplinare avviato nei suoi confronti

Il dipendente pubblico nei cui confronti è stato avviato un procedimento disciplinare ha il diritto di accedere ai documenti relativi senza che possa rilevare l’eventuale opposizione di soggetti controinteressati: è quanto affermato dal TAR Campania, Salerno, sez. III, nella sent. 14 luglio 2023, n. 1722.

Invero, per pacifica giurisprudenza, sussiste l’interesse ad acquisire gli atti relativi a un procedimento disciplinare anche laddove lo stesso, al cui avvio il corredo documentale era funzionale, non risulti essere stato avviato, poiché sussiste l’interesse del dipendente a conoscere gli atti amministrativi su cui la richiesta disciplinare è fondata, allo scopo di tutelare i propri interessi giuridicamente rilevanti e di regolare la propria condotta senza che la divulgazione resti preclusa da esigenze di tutela della riservatezza (TAR Lazio, Roma, sez. III quater, sent. 16 maggio 2018, n. 5444).

Nell’occasione i giudici salernitani hanno richiamato i principi elaborati in via interpretativa dalla giurisprudenza amministrativa relativamente ai presupposti di ammissibilità dell’accesso documentale a norma degli artt. 22 e ss. della Legge n. 241/1990.

In base alla disciplina normativa prevista per tale forma di accesso, la pretesa ostensiva risulta circoscritta sul piano soggettivo, richiedendo ai fini del relativo riconoscimento la sussistenza di un interesse conoscitivo finalizzato alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti: ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b, della Legge n. 241/1990, infatti, vengono definiti “interessati” all’accesso non tutti i soggetti indiscriminatamente, ma soltanto i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse “diretto”, “concreto” e “attuale”, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 11 gennaio 2019, n. 249 e sez. V, sent. 21 agosto 2017, n. 4043).

In base al consolidato orientamento giurisprudenziale maturato sul tema, la richiesta legittimazione attiva è configurata in relazione al requisito della “strumentalità” dell’accesso, declinato dal citato art. 22, comma 1, lett. b, della L. n. 241/1990, come finalizzazione della domanda ostensiva alla cura di un interesse diretto, concreto, attuale – e non meramente emulativo o potenziale – connesso alla disponibilità dell’atto o del documento del quale si richiede l’accesso.

Sul punto è stato evidenziato, in sede giurisprudenziale, che la nozione di “strumentalità” – relativamente alla figura dell’accesso c.d. “ordinario” di cui agli artt. 22 e ss. della Legge. n. 241/1990 – va intesa in senso ampio, in termini di utilità per la difesa di un interesse giuridicamente rilevante (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, sent. 15 maggio 2017 n. 2269, sez. III, sent. 16 maggio 2016 n. 1978 e sez. IV, sent. 6 agosto 2014 n. 4209).

In tale prospettiva, la valutazione in ordine al legame tra finalità dichiarata e documento richiesto – quale presupposto di ammissibilità della pretesa ostensiva – va effettuata in astratto, senza apprezzamenti sull’eventuale infondatezza o inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente, una volta conosciuti gli atti in questione, potrebbe proporre, risultando sufficiente che la documentazione richiesta costituisca mezzo utile per la difesa dell’interesse giuridicamente rilevante, non dovendo rappresentare uno strumento di prova diretta della lesione di tale interesse (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, sent. 13 gennaio 2012, n. 116).

L’assetto delineato corrisponde, in particolare, alla definizione in via legislativa – operata nel contesto dell’istituto dell’accesso documentale – “di un delicato equilibrio tra due esigenze contrapposte, l’una alla più ampia trasparenza dell’amministrazione, l’altra ad escludere tutela a quelle istanze meramente pretestuose o comunque ingiustificate” (in tal senso, cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 11 gennaio 2019, n. 249).

In tale prospettiva, è stato evidenziato che “il diritto all’accesso documentale – pur essendo finalizzato ad assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa ed a favorirne lo svolgimento imparziale – non si configura come un’azione popolare, esercitabile da chiunque, indipendentemente da una posizione giuridicamente differenziata; ne consegue che l’accesso è consentito soltanto a coloro ai quali gli atti si riferiscono direttamente o indirettamente, e comunque solo laddove essi se ne possano avvalere per tutelare una posizione giuridicamente rilevante” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sent. 14 settembre 2017, n. 4346).

Nell’ottica delineata, è richiesta – alla luce del disposto contenuto nell’art. 25, comma 2, della Legge n. 241/1990, ai sensi del quale “la richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata” – una puntuale e specifica deduzione delle finalità dell’accesso nell’ambito dell’istanza di ostensione, in modo da consentire la valutazione in ordine alla ricorrenza del nesso di strumentalità previsto dall’art. 22 L. n. 241/1990, come altresì ribadito nella sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 18 marzo 2021, n. 4.

Il prescritto nesso di strumentalità, dunque, se pure declinato in un’accezione ampia, non può in ogni caso prescindere dall’allegazione di elementi sufficienti ad estrinsecare il collegamento tra interesse dedotto, situazione giuridica azionata e documentazione richiesta. Nel caso specifico oggetto di valutazione da parte dei giudici campani, tale collegamento è stato ritenuto sussistente, visto che l’accesso era motivato dalla necessità di esercitare il diritto di difesa nell’ambito di un procedimento disciplinare.

Bisogna, peraltro, osservare che la legittimazione all’accesso va riconosciuta a chi è in grado, come nella specie, di dimostrare che gli atti richiesti hanno prodotto o possano produrre effetti diretti o indiretti nei suoi confronti, da cui deriva il suo bisogno di conoscenza (c.d. “need to know”, cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza n. 10/2020), anche a prescindere dalla intervenuta lesione di una posizione giuridica o dalla compiuta percezione della stessa.

Parimenti, va rimarcato che non sussistono impedimenti alla ostensione della richiesta documentazione, non venendo in rilievo alcun impedimento di legge né profili di riservatezza.

Risultando, dunque, accertato il collegamento tra l’interesse e il documento, ogni ulteriore indagine sull’utilità ed efficacia del documento stesso in prospettiva di tutela giurisdizionale ovvero sull’esistenza di altri strumenti di tutela eventualmente utilizzabili è del tutto ultronea (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, sent. 9 marzo 2020, n. 1664; TAR Lazio, Roma, sez. II, sent. 19 marzo 2020, n. 3454). Infatti, nell’accertare l’interesse all’accesso in capo al richiedente rispetto a determinati documenti, il Giudice deve verificarne la concretezza, l’attualità e il collegamento con una situazione giuridica meritevole di tutela (nella specie, come detto, sussistente), senza spingersi sino a sindacare l’utilità concreta che la conoscenza dei documenti amministrativi possa poi effettivamente determinare per il medesimo soggetto, ben potendo la documentazione richiesta costituire soltanto, genericamente, mezzo utile per la difesa.

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