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Internalizzazione di un servizio tramite società comunale in house: serve una motivazione rafforzata

L’art. 192, comma 2, del Codice degli appalti pubblici (Decreto Legislativo n. 50/2016) impone che l’affidamento in house di servizi disponibili sul mercato sia assoggettato a una duplice condizione, che non è richiesta per le altre forme di affidamento dei medesimi servizi (con particolare riguardo alla messa a gara con appalti pubblici e alle forme di cooperazione orizzontale fra amministrazioni):

  1. la prima condizione consiste nell’obbligo di motivare le condizioni che hanno comportato l’esclusione del ricorso al mercato; tale condizione muove dal ritenuto carattere secondario e residuale dell’affidamento in house, che appare poter essere legittimamente disposto soltanto in caso di, sostanzialmente, dimostrato ‘fallimento del mercato’ rilevante a causa di prevedibili mancanze in ordine a «gli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche », cui la società in house invece supplirebbe;
  2. la seconda condizione consiste nell’obbligo di indicare, a quegli stessi propositi, gli specifici benefìci per la collettività connessi all’opzione per l’affidamento in house(dimostrazione che non è invece necessario fornire in caso di altre forme di affidamento, con particolare riguardo all’affidamento tramite gare di appalto); anche qui la previsione dell’ordinamento italiano di forme di motivazione aggravata per supportare gli affidamenti in house muove da un orientamento di sfavore verso gli affidamenti diretti in regìme di delegazione interorganica, relegandoli ad un ambito subordinato ed eccezionale rispetto alla previa ipotesi di competizione mediante gara tra imprese.

In tale quadro normativo e giurisprudenziale di sostanziale disfavore nei confronti degli affidamenti diretti, il TAR Lombardia, Brescia, sez. I, nella sent. 22 maggio 2023, n. 454, ha ribadito che l’amministrazione che intenda internalizzare un servizio pubblico locale a rilevanza economica attraverso il modello dell’in house, ha un onere motivazionale rafforzato, che consenta di esercitare un penetrante controllo della scelta effettuata, anzitutto sul piano dell’efficienza amministrativa e del razionale impiego delle risorse pubbliche.

Tali principi possono dirsi pressochè consolidati nella giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, sent. 10 maggio 2021, n. 3682; sez. IV, sent. 19 ottobre 2021, n. 7023; sez. V, sent. 6 maggio 2022, n. 3562; TAR Lombardia, Brescia, sez. I, sent. 23 marzo 2021, n. 280; sent. 8 aprile 2021, n. 329; sent. 11 maggio 2021, n. 436 e n. 438).

Come affermato in questi ultimi precedenti, la preferenza riservata dall’ordinamento nazionale all’evidenza pubblica è stata ritenuta non contrastare con il diritto dell’Unione europea e con la Carta costituzionale. Invero, la Corte di Giustizia ha chiarito che, come il diritto dell’Unione Europea non obbliga gli Stati membri a esternalizzare la prestazione dei servizi, così non li obbliga a ricorrere sempre e comunque all’autoproduzione, ben potendo questa essere subordinata dal legislatore nazionale a una serie di ulteriori condizioni (v. ordinanza 6.02.2020 nelle cause riunite C-89/19, C-90/19 e C-91/19). Al contempo, la Corte Costituzionale, nell’affermare l’infondatezza delle questioni di illegittimità costituzionale dell’art. 192, comma 2, del Codice dei contratti pubblici in relazione all’art. 76 Cost. e all’art. 1, comma 1, lettere a) ed e), della Legge n. 11/2016, ha osservato che detta disposizione “è espressione di una linea restrittiva del ricorso all’affidamento diretto che è costante nel nostro ordinamento da oltre dieci anni, e che costituisce la risposta all’abuso di tale istituto da parte delle amministrazioni nazionali e locali”, e che essa “risponde agli interessi costituzionalmente tutelati della trasparenza amministrativa e della tutela della concorrenza” (v. sent. n. 100/2020).

Nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici bresciani, riguardante il servizio di gestione dei rifiuti, è mancata una corretta valutazione in merito al “fallimento del mercato”: nella relazione si faceva riferimento alla ridottissima partecipazione di imprese in precedenti gare, mentre la mappatura dei gestori regionali riportava la presenza di una variegata pluralità di soggetti economici operanti nel settore dell’appalto.