Il ricorso costante all’anticipazione di tesoreria: il warning della Corte dei conti
Il ricorso all’anticipazione di tesoreria per sostenere spese correnti deve essere limitato ad esigenze di liquidità temporanee, tese a porre rimedio ad eccessi diacronici tra i flussi di entrata e quelli di spesa: è quanto ribadito dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. per il Piemonte, nella delib. n. 47/2023/PRSE, depositata lo scorso 28 aprile.
Secondo i giudici, il ricorso costante all’anticipazione di tesoreria, oltre a essere sintomo di una crisi di liquidità strutturale che può celare gravi problemi di equilibrio finanziario, finisce per costituire una forma di indebitamento a medio termine, come tale contraria all’art. 119, ultimo comma,
Costituzione.
Si rammenta, inoltre, che il punto 3.26 dell’allegato 4/2 al D.Lgs. n. 118 del 2011 precisa che le anticipazioni di cassa – proprio in ragione del fatto che non costituiscono indebitamento dell’ente, ma sono destinate a fronteggiare temporanee esigenze di liquidità – sono da chiudere entro l’esercizio.
Pertanto, alla data del 31 dicembre di ciascun esercizio, l’ammontare delle entrate accertate e riscosse derivanti da anticipazioni deve corrispondere all’ammontare delle spese impegnate e pagate per la chiusura delle stesse.
Il reiterato ricorso all’anticipazione di tesoreria costituisce un non trascurabile indice di assenza di un efficace controllo sulla gestione della spesa che potrebbe condurre a situazioni di squilibrio strutturale, con la conseguenza che l’ente deve necessariamente adottare tempestive misure organizzative per rispristinare un adeguato controllo dei processi di spesa, al fine di evitare il ripetersi dell’inconsapevole formazione di squilibri di parte corrente.