È vietata l’assegnazione dei compiti e delle funzioni descritte dall’art. 35-bis del Decreto Legislativo n. 165/2001 al dipendente condannato per i reati ivi previsti, anche se la pena risulta sospesa: è quanto affermato dall’ANAC nell’atto del Presidente fasc. n. 1307/2023 dello scorso 4 aprile (nel caso specifico, l’incarico ipotizzato era di tipo direttivo-contabile).
Come è noto, la disposizione citata dispone che “Coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale: a) non possono fare parte, anche con compiti di segreteria, di commissioni per l’accesso o la selezione a pubblici impieghi; b) non possono essere assegnati, anche con funzioni direttive, agli uffici preposti alla gestione delle risorse finanziarie, all’acquisizione di beni, servizi e forniture, nonché alla concessione o all’erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari o attribuzioni di vantaggi economici a soggetti pubblici e privati; c) non possono fare parte delle commissioni per la scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, per la concessione o l’erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché per l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere”.
Già in passato l’ANAC, tramite la delibera n. 1201 del 18 dicembre 2019, paragrafo 2, aveva chiarito i rapporti intercorrenti tra tale norma e l’istituto delle inconferibilità, individuando elementi comuni e differenze; in particolare, ai fini della risoluzione del quesito posto, occorre evidenziare che l’art. 35-bis citato “rappresenta una nuova e diversa fattispecie di inconferibilità, atta a prevenire il discredito, altrimenti derivante all’Amministrazione, dovuto all’affidamento di funzioni sensibili a dipendenti che, a vario titolo, abbiano commesso o siano sospettati di infedeltà. In questo senso […] l’art. 35 bis d.lgs. 165/2001, diversamente dalla disciplina di cui all’art. 3 d.lgs. 39/2013, preclude il conferimento di alcuni uffici o lo svolgimento di specifiche attività ed incarichi particolarmente esposti al rischio corruzione non solo a coloro che esercitano funzioni dirigenziali, ma anche a quanti vengano affidati meri compiti di segreteria ovvero funzioni direttive e non dirigenziali”.
Quanto, invece, alla durata delle preclusioni, è stato osservato come l’art. 3 del medesimo Decreto Legislativo n. 39/2013 parametri il periodo dell’inconferibilità alla pena irrogata ed alla tipologia di sanzione accessoria interdittiva eventualmente comminata, fissando un limite temporale al dispiegarsi degli effetti; diversamente, il divieto posto dall’art. 35 bis continua ad operare “fino a che non sia intervenuta, per il medesimo reato, una sentenza di assoluzione anche non definitiva, che abbia fatto venir meno la situazione impeditiva” (cfr. anche Orientamento n. 66 del 29 luglio 2014).
Con specifico riferimento alla questione relativa alla sospensione condizionale della pena, occorre chiarire l’iter logico sotteso all’Orientamento n. 54/2014, a partire dal quale l’Autorità ha sistematicamente ribadito la piena operatività del divieto stabilito dall’art. 3 del Decreto Legislativo n. 39/2013 anche nell’ipotesi in cui la sentenza di condanna che ne costituisce il presupposto sospenda la pena ai sensi degli artt. 163 e ss. c.p. In più occasioni (cfr. delibere n. 1292 del 23 novembre 2016, n. 1201 del 18 dicembre 2019 e n. 427 del 14 settembre 2022) l’ANAC ha evidenziato come l’inconferibilità non rientri nella categoria delle misure sanzionatorie (penali o amministrative) ma attiene ad uno status soggettivo in cui viene a trovarsi colui che è stato condannato, anche con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati contro la P.A. previsti dal codice penale al capo I, titolo II, libro II. Essa assolve ad una funzione di prevenzione della corruzione e di garanzia dell’imparzialità dell’amministrazione e, di conseguenza, non subisce gli effetti indicati dall’art. 166 c.p.
In tal caso l’attribuzione o il mantenimento degli incarichi specificamente elencati all’art. 3, comma 1, del Decreto Legislativo n. 39/2013 sono vietati per carenza di un requisito soggettivo, dovendosi rintracciare nella sentenza di condanna una prova dell’inidoneità alla spendita di poteri pubblici nel rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 Cost. Detta circostanza è stata valutata ex ante dal legislatore in riferimento non solo alla disciplina dell’inconferibilità ma anche all’istituto della sospensione dalle cariche per gli amministratori di enti locali di cui al Decreto Legislativo n. 235/2012.
La ricostruzione sopra svolta, poi, trova ulteriore conferma nella giurisprudenza, laddove è stata riconosciuta l’inoperatività della sospensione condizionale della pena con riguardo alle conseguenze extrapenali della condanna, ai cui effetti, pertanto, sono sottratte tutte le sanzioni amministrative, sia principali che accessorie (cfr. Corte di Cassazione, sent. n. 27297/2019 e n. 34297/2007).
Da ultimo, ricordiamo che il Consiglio di Stato ha espressamente rilevato l’applicazione dell’art. 3 del Decreto Legislativo n. 39/2013 nei confronti di un dirigente esterno condannato con pena sospesa per uno dei reati previsti dal capo I, titolo II, libro II del codice penale (sent. n. 6538 del 25 luglio 2022).