Come ribadito recentemente dalla Corte dei conti, sez. giurisdizionale per l’Emilia-Romagna, nella sent. n. 19/2023, depositata lo scorso 28 febbraio, il fraudolento conseguimento dell’incarico sulla base di false dichiarazioni sul possesso del titolo comporta l’irrimediabile rottura del sinallagma contrattuale, posto che il pubblico dipendente non è in possesso della professionalità richiesta e, per l’effetto, le retribuzioni percepite risultano sprovviste di quella giusta causa che sempre deve legittimare la loro liquidazione (in tal senso, cfr. sez. I App., sent. n. 482/2017; ex multis, da ultimo, sez. giur. Lombardia, sent. n. 214/2022; sez. giur. Emilia-Romagna, sentt. nn. 313/2019 e 141/2022).
Il difetto del titolo spezza l’inestricabile nesso tra prestazione e retribuzione (in termini, ad es., sez. giur. Marche, sent. n. 225/2019).
Il quantum del danno erariale sarà pari alla sommatoria delle retribuzioni conseguite sine causa, corrispondenti alle retribuzioni lorde percepite, per le prestazioni lavorative effettuate. Sulla necessità di una quantificazione al lordo delle ritenute fiscali, si richiamano le sentenze delle Sezioni Riunite della Corte dei conti n. 24 del 12 ottobre 2020 e n. 13 dell’11 ottobre 2021, secondo cui, in caso di danno erariale conseguente all’illecita erogazione di emolumenti lato sensu intesi a favore di pubblici dipendenti, il computo deve essere effettuato al lordo delle ritenute Irpef operate a titolo di acconto sugli importi liquidati a tale titolo.
Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza contabile, l’espletamento di mansione lavorativa non supportata da idoneo e prescritto titolo di studio non integra alcun idoneo vantaggio compensativo. Infatti, l’Amministrazione non richiede né remunera una qualsiasi prestazione, bensì prestazioni corrispondenti a predeterminati parametri, in relazione ai quali determina ex ante il titolo di studio minimo richiesto per l’accesso all’impiego (cfr. ex multis, Corte dei Conti, sez. giur. per la Regione Siciliana, sent. n. 211/2021).
Il difetto degli standards e, nella fattispecie, della professionalità richiesta “rende la prestazione lavorativa del tutto inadeguata alle esigenze amministrative e la controprestazione, ovvero la retribuzione corrisposta, non risulta correlata alla prestazione richiesta e pattuita, essendo venuto meno il relativo rapporto sinallagmatico” (sez. Sicilia, sent. n. 211/2021).