La natura del danno da disservizio del dipendente comunale secondo la Corte dei conti

Come ricordato recentemente dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. Umbria, nella sent. n. 145/2023, depositata lo scorso 7 marzo, il danno da disservizio deriva dalla violazione del rapporto sinallagmatico tra dipendente e Pubblica Amministrazione, che si verifica quando le energie lavorative del primo vengano distratte dai compiti istituzionali retribuiti con danaro pubblico e sviate verso condotte illecite, tese a perseguire interessi privati, con conseguente disutilità della spesa sostenuta dall’ente per retribuirle.

Grava sulla Procura contabile la relativa prova, dimostrando tanto il pregiudizio economico quanto la riferibilità al comportamento del dipendente pubblico.

È quindi necessario provare, in termini di concretezza e attualità, la disfunzione organizzativa che la condotta non conforme ai doveri di ufficio ha generato, per la comprovata diminuzione dell’efficienza del servizio erogato, che ricade sull’apparato amministrativo e, di riflesso, sugli amministrati e per lo svolgimento di un servizio solo apparente, desostanziato delle sue caratteristiche essenziali di pubblicità utilità.

Ad esempio, nel caso concreto analizzato dai giudici umbri, il danno di disservizio si può rilevare nel caso di due agenti di polizia locale che, come comprovato anche a livello penale, avevano ripetutamente interrotto il servizio esterno notturno di pattugliamento, non espletando il turno completo (talora per tardiva uscita, talora per anticipato rientro in caserma).

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