La destinazione dell’imposta di soggiorno: il warning della Corte dei conti

Come è noto, secondo quanto disposto dall’ art. 4, comma 1, del Decreto Legislativo n. 23/2011, il gettito dell’imposta di soggiorno è destinato “a finanziare interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero di beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali”.

Secondo la giurisprudenza amministrativa (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sent. 23 novembre 2018, n. 6644), “l’aggettivo “relativi” (…) laddove riferito ai beni culturali ed ambientali del comune impositore, può comunque essere inteso a tutti i servizi pubblici locali offerti da quest’ultimo alla collettività, quale ente pubblico a fini generali (cfr. per i comuni l’art. 13 del testo unico sugli enti locali di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267) e nell’ambito della cui azione amministrativa l’imposta di soggiorno per i non residenti si giustifica (…) per via dell’aggravio di spesa per tali servizi derivanti dall’afflusso e dal soggiorno di popolazione non residente” (in tal senso, ex multis, TAR Puglia, Lecce, sent. 30 aprile 2012, n. 736).

Sotto il profilo strettamente finanziario, secondo la giurisprudenza contabile (Corte dei conti, sez. controllo Veneto, delib. n. 71/2019/PAR), l’imposta di soggiorno, deve essere finalizzata a finanziare “interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive, nonché interventi di manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali ed ambientali locali, nonché dei relativi servizi pubblici locali”. Trattasi, come opportunamente rilevato dalla giurisprudenza contabile (sez. reg. di contr. Campania, delib. n. 11/2018/PAR; sez. reg. di contr. Puglia, delib. n. 201/2015/PAR; sez. reg. di contr. Emilia-Romagna, delib. n. 228/2014/PAR), di un’imposta di scopo, basata, cioè, sulla correlazione prelievo-beneficio e diretta a determinare un miglior livello di accettazione del sacrificio richiesto.

In altri termini, l’art. 4 del D.lgs. n. 23/2011 finalizza l’impiego del gettito ottenuto dall’imposta esclusivamente per il finanziamento diretto ed immediato di interventi nel settore del turismo e di interventi ad esso connessi, mediante la previsione di un vincolo di destinazione incombente sulla relativa entrata. L’esistenza di siffatto vincolo implica evidentemente che, nel bilancio dell’ente, tale entrata debba essere correlata esclusivamente a spese della tipologia indicata dal legislatore e non ad altre. Diversamente, il vincolo, di origine normativa, verrebbe disatteso e, dunque, violato.

La suesposta premessa, fondata sull’esame della norma che prevede e disciplina l’imposta di soggiorno, secondo la Corte dei conti, delib. n. 52/2023/PAR, depositata lo scorso 23 febbraio, non può che condurre alla esclusione della possibilità di utilizzare, alla stregua di entrate afferenti alla fiscalità generale, l’imposta medesima, collegata, invece, ad impieghi vincolati” (si veda, più in generale, anche Corte dei conti, sez. reg. di contr. per il contr. Veneto, delib. 172/2015/PAR).

Nella medesima prospettiva (Corte dei conti, sez. reg. di contr. Campania, delib. n. 114/2018/PAR) viene ricusata la riconducibilità al predetto vincolo normativo di scopo delle fattispecie connotate soltanto da una sorta di connessione per accessorietà alla materia del turismo, ove lo scopo turistico si atteggi a requisito soltanto eventualmente riflesso dell’attività che si intende finanziare con l’imposta di soggiorno. In tal senso “la disposizione citata intende porre una destinazione al gettito ottenuto dall’imposta di soggiorno che soddisfi lo scopo indicato dal legislatore in via diretta ed immediata. In altri termini, la destinazione della spesa non deve essere meramente connessa allo scopo di interventi in materia di turismo”; talché “ammettere una soluzione diversa (…) consentirebbe di includere qualsiasi spesa che sia eventualmente riconducibile a interventi in materia di turismo”.

Infatti, “La struttura ed il contenuto del bilancio ante armonizzazione (ex Dpr. 194/96) individuava, nell’ambito dei titoli definiti in relazione ai principali aggregati economici come precisati dall’art. 165 tuel le funzioni in relazione proprio a quelle svolte dall’ente. (…) Lo schema di bilancio attualmente in vigore, si pone in linea di continuità con quello precedente, atteso che sul fronte della spesa è organizzato in missioni che rappresentano le funzioni principali e programmi che individuano gli aggregati omogeni di attività”.

Perciò, ai fini della correttezza/corrispondenza sia della destinazione dell’entrata sia della allocazione della spesa nei prospetti contabili di legge (bilancio di previsione e conto consuntivo), l’imposta di soggiorno può finanziare gli specifici ambiti funzionali inerenti al turismo, siccome declinati dall’art. 4, comma 1, del Decreto Legislativo n. 23/2011 e non quelli riferibili soltanto in via mediata e incidentale all’ambito turistico. Infatti, la disposizione d’interesse (art. 4, comma 1) non corrisponde a formula lata (con dicitura aperta) bensì a previsione che individua separatamente in termini specifici e rigorosi, alla stregua delle considerazioni che precedono, singole fattispecie, quali: 1) interventi in materia di turismo, ivi compresi quelli a sostegno delle strutture ricettive; 2) interventi di manutenzione, fruizione e recupero di beni culturali ed ambientali locali; 3) servizi pubblici locali inerenti ai predetti interventi.

In sede ermeneutica, non può perciò valere il principio per cui ubi lex non distinguit, nec nos distinguere debemus né, di conseguenza, è consentito ricorrere all’analogia (art. 14 Preleggi) o, quanto meno, all’interpretazione estensiva.

In conclusione, gli interventi finanziabili con l’imposta di soggiorno corrispondono a quelli intrinsecamente inerenti alla materia del turismo nei suddetti termini giuridici di interpretazione.

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