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Dissesto chiuso: il creditore insoddisfatto può richiedere al Comune il pagamento di capitale e interessi

A seguito della chiusura della procedura di dissesto del Comune, le pretese creditorie rimaste insolute tornano ad essere esigibili nei confronti dell’ente locale, per effetto del venir meno del regime di sospensione temporanea strumentale all’attività di rilevazione ed estinzione delle passività dell’ente stesso: è quanto ricordato dal TAR Calabria, Catanzaro, sez. II, nella sent. 3 gennaio 2023, n. 9.

La chiusura della procedura di dissesto degli enti locali non determina, quindi, l’estinzione dei crediti rimasti insoddisfatti nel corso della procedura (cfr. Corte Cost., sent. n. 269/1998; Cass. Civ., sez. III, sent. 30 gennaio 2008, n. 2095) e, conseguentemente, i creditori possono ottenere dall’Ente tornato in bonis il pagamento:

  • sia delle somme a titolo di capitale rimaste insolute,
  • sia degli interessi maturati e non pagati prima della dichiarazione di dissesto,
  • sia degli interessi maturati nel corso della procedura di dissesto.

Più in particolare, con riferimento al tema controverso se nel corso della procedura di dissesto maturino, o meno, gli interessi sulle somme insolute, l’orientamento consolidato della giurisprudenza ritiene che “la normativa che dispone il blocco della rivalutazione monetaria e degli interessi in relazione ai debiti degli enti locali in stato di dissesto finanziario, di cui all’art. 21 d.l. 18 gennaio 1993 n. 8, conv. con modificazioni dalla l. 19 marzo 1993 n. 68 (ora trasfuso nell’art. 248, d.lg. n. 267 del 2000) deve essere interpretata nel senso che anche dopo la dichiarazione di dissesto continuano a maturare sui debiti pecuniari degli enti dissestati interessi e rivalutazione, restando soltanto escluse l’opponibilità alla procedura di liquidazione e l’ammissione, alla massa passiva, degli interessi e della rivalutazione maturati successivamente alla dichiarazione di dissesto e fino all’approvazione dell’apposito rendiconto. Infatti, l’eventuale dichiarazione di dissesto finanziario dell’Ente locale non preclude che sui debiti pecuniari dello stesso maturino interessi e rivalutazione monetaria, ai sensi dell’art. 1224 c.c. a decorrere dal momento in cui il credito è divenuto liquido ed esigibile: pertanto, la citata disposizione, secondo cui i debiti insoluti alla data di dichiarazione del dissesto finanziario dell’Ente locale non producono interessi, né rivalutazione monetaria ha carattere meramente sospensivo e non preclude all’interessato – una volta esaurita la gestione straordinaria con la cessazione della fase di dissesto – di riattivarsi per la corresponsione delle poste stesse nei confronti dell’Ente risanato” (TAR Lazio, Roma, sez. II bis, sent. 18 agosto 2020, n. 9250; cfr. anche TAR Calabria, Reggio Calabria, sent. 6 ottobre 2021, n. 764).

In altri termini, secondo l’interpretazione giurisprudenziale consolidata, la rivalutazione e gli interessi sui crediti di un ente in dissesto maturano anche successivamente all’apertura della procedura, ma rimangono non opponibili ad essa ed esclusi dalla massa passiva, ferma restando però la facoltà del creditore di azionare tali diritti nei confronti del Comune, una volta esaurita la gestione straordinaria.

L’art. 248, comma 4, del TUEL (Decreto Legislativo n. 267/2000) stabilisce, quindi, un regime di temporanea inesigibilità degli accessori del credito, strumentale alla liquidazione della massa passiva dell’ente locale, e destinato a cessare con la chiusura delle attività dell’organo straordinario di liquidazione.

L’interpretazione, in questi termini, dell’art. 248, comma 4, citato è stata, da ultimo, avallata dalla Corte Costituzionale con la sent. n. 219 del 24 ottobre 2022, la quale ha ribadito – richiamando i propri precedenti in termini – che “la disposizione relativa agli accessori del credito ha la finalità di determinare esattamente la consistenza della massa passiva da ammettere al pagamento nell’ambito del dissesto dell’ente locale, ma essa ‘non implica la estinzione dei crediti non ammessi o residui, i quali, conclusa la procedura di liquidazione, potranno essere fatti valere nei confronti dell’ente risanato’ (sentenza n. 269 del 1998)”.

La Corte ha ritenuto nuovamente che la norma di cui all’art. 248 del TUEL, interpretata nel senso di un’inesigibilità solo temporanea degli accessori del credito per gli enti in dissesto, non si pone in contrasto:

  • né con il principio di eguaglianza, rispetto alle norme sulla liquidazione giudiziale delle imprese private, posto che “l’esigenza che le disposizioni poste a raffronto mirano a soddisfare afferisce specificamente alla condizione dei creditori – tanto dell’ente locale, quanto dell’imprenditore – di essere tutelati in modo analogo, ancorché l’ordinamento preveda misure atte ad assicurare la continuità delle funzioni dell’ente locale oltre il dissesto”;
  • né con il principio di ragionevolezza, posto che “l’assunto del giudice rimettente, secondo cui la vigente disciplina sugli accessori del credito attribuirebbe ai creditori degli enti locali in dissesto una tutela eccessiva a scapito della collettività di cui l’ente locale è esponenziale, non tiene conto del fatto che la disciplina sul dissesto (artt. 244 e seguenti t.u. enti locali) contiene una serie di misure volte a consentire, da un lato, che l’OSL gestisca il passivo pregresso (a tutela della massa dei creditori) e, dall’altro lato, che il comune continui a esistere e operare (in quanto ente necessario), con un bilancio autonomo e distinto da quello dell’OSL, finalizzato non solo a gestire gli affari correnti, connessi soprattutto ai servizi essenziali, ma pure ad accantonare risorse per il pagamento di eventuali debiti o accessori che dovessero generarsi in pendenza della gestione liquidatoria”.