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Il ricorso all’anticipazione di tesoreria: il warning della Corte dei conti

L’anticipazione di tesoreria rappresenta una forma di finanziamento cui l’Ente locale può ricorrere, nel rispetto dei limiti previsti dall’art. 222 del TUEL (Decreto Legislativo n. 267/2000), per far fronte a momentanee esigenze di liquidità: la gestione della stessa si caratterizza per l’emissione da parte del Tesoriere di provvisori in entrata e spesa correlati rispettivamente ad utilizzi e restituzioni/diminuzioni cui segue la regolarizzazione da parte dell’Ente, talché, a fine anno, l’anticipazione utilizzata e non restituita, risultante dalla differenza tra gli utilizzi e le restituzioni, rappresenta un debito da impegnare, sub specie di residuo passivo, segnatamente al titolo V della spesa (ex titolo III) (sul punto cfr. delib. n. 101/2016 della Corte dei conti, sez. reg. di contr. Marche).

In generale, può dirsi che l’anticipazione di cassa sia un negozio caratterizzato da una causa giuridica mista, nella quale si combinano la funzione di finanziamento con quella di razionalizzazione dello sfasamento temporale tra flussi di spesa e di entrata, attraverso un contratto di finanziamento a breve termine tra Ente pubblico e tesoriere.

Come ribadito recentemente dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr, Sicilia, nella delib. n. 207/2022/PRSP, depositata lo scorso 19 dicembre, l’anticipazione di tesoreria costituisce una forma di finanziamento a breve termine cui gli enti dovrebbero ricorrere solo per far fronte a momentanei problemi di liquidità: l’utilizzo di questo strumento finanziario ha carattere eccezionale e avviene nei casi in cui la gestione del bilancio abbia generato, principalmente in conseguenza della mancata sincronizzazione tra flusso delle entrate e decorrenza dei pagamenti, temporanee carenze di cassa in rapporto ai pagamenti da effettuare in un dato momento.

Se, viceversa, il ricorso ad anticipazioni del tesoriere è continuativo e protratto per un notevole lasso temporale, e per importi consistenti, rappresenta un elemento fortemente critico della gestione finanziaria; detto fenomeno induce a dubitare che la perdurante sofferenza di liquidità derivi da un mero disallineamento temporale fra incassi e pagamenti e, invece, costituisca un sintomo di latenti e reiterati squilibri nella gestione di competenza tra le risorse in entrata che l’ente può effettivamente realizzare e le spese che si è impegnato a sostenere; nei casi più gravi, inoltre, esso potrebbe dissimulare forme di finanziamento a medio/lungo termine e, pertanto, nella sostanza configurare una violazione del disposto dell’art. 119 della Costituzione (che consente di ricorrere ad indebitamento solo per finanziare spese di investimento).

In sintesi, perciò, l’anticipazione in discorso è un’operazione eccezionale volta al superamento di crisi di liquidità meramente temporanee; conseguentemente, esso non può divenire mezzo ordinario e fisiologico di gestione per il pagamento delle spese, fattispecie che ove si verifichi costituisce sintomo di una endemica sofferenza di liquidità (cfr. sez. reg. di controllo Piemonte, delib. n. 68/2020; sez. reg. di contr. Lombardia, delib. n. 107/2020/PRSE).

Ciò posto, un ricorso costante e senza sostanziale soluzione di continuità all’anticipazione di tesoreria:

  • sconfina in una forma (anomala) d’indebitamento, trasformando l’anticipazione in una forma di debito di medio termine, in difformità dall’art. 119 della Costituzione che pone stringenti limiti in ordine all’utilizzo dell’indebitamento, con ogni conseguenza prevista dall’ordinamento;
  • determina ingiustificati costi per l’Ente;
  • è un indice sintomatico di un grave squilibrio strutturale, espressione dell’incapacità dell’Ente di far fronte, con le entrate ordinarie, ai pagamenti ed è sintomatica della difficoltà in cui esso si trova nella riscossione delle proprie entrate.