Mantenimento di una partecipazione minoritaria in una società in house: il warning della Corte dei conti
Deve escludersi che la mera integrazione dello statuto di un ente locale, con l’inserimento di una nuova finalità istituzionale, possa dirsi sufficiente a configurare il cd. “vincolo di scopo”, prescritto dall’art. 4 del TUSP (Decreto Legislativo n. 175/2016): è quanto affermato dalla Corte dei conti, sez. reg. di contr. per l’Emilia Romagna, nella delib. n. 110/2022/PAR, pubblicata lo scorso 13 settembre.
Come è noto, il citato art. 4 dispone che le amministrazioni pubbliche possono, direttamente o indirettamente, costituire società e acquisire o mantenere partecipazioni in società esclusivamente per lo svolgimento delle attività sotto indicate:
- produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi;
- progettazione e realizzazione di un’opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche;
- realizzazione e gestione di un’opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d’interesse generale attraverso un contratto di partenariato pubblico-privato;
- autoproduzione di beni o servizi strumentali all’ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni, nel rispetto delle condizioni stabilite dalle direttive europee in materia di contratti pubblici e della relativa disciplina nazionale di recepimento;
- servizi di committenza, ivi incluse le attività di committenza ausiliarie, apprestati a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici.
Secondo la Corte, “le disposizioni di cui al comma 2 del citato art. 4, costituiscono norme espressive di principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Cost.) e come tali non derogabili né da una legge regionale né tanto meno da una modifica statuaria dell’ente locale”.
Nel caso specifico, un’Unione di Comuni aveva espresso la volontà di modificare il proprio statuto, inserendo un riferimento all’integrazione sociale e sanitaria fra i Comuni partecipanti, allo scopo di mantenere una minima partecipazione in una società in house, detenuta da un’AUSL territoriale, così dimostrando la sussistenza del presupposto per l’acquisizione della partecipazione societaria, anche di minoranza, in quanto strettamente necessaria per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali. La Corte, però, è stata di diverso avviso, stigmatizzando anche la vaghezza della possibile modifica statutaria dell’Unione.