Cittadini residenti, consiglieri ed ex amministratori sono legittimati ad impugnare la delibera di dissesto
Cittadini residenti, consiglieri comunali ed ex amministratori dell’ente sono legittimati ad impugnare la delibera con cui il Consiglio Comunale dichiara il dissesto finanziario ex artt. 244 e ss. del TUEL (Decreto Legislativo n. 267/2000): è quanto ribadito dal TAR Abruzzo, L’Aquila, nella sent. 29 luglio 2022, n. 325.
Per quanto riguarda i cittadini residenti, la loro legittimazione deriva dal pregiudizio conseguente all’innalzamento già attuato ai massimi livelli percentuali delle imposte IMU e TARI; in tal senso, già in passato il Consiglio di Stato aveva affermato che “In caso di dichiarazione di dissesto finanziario del Comune, sussiste la legittimazione a ricorrere di tutte le singole persone fisiche residenti nel Comune, atteso che la dichiarazione di dissesto costituisce la premessa per ulteriori provvedimenti sfavorevoli, contro i quali esse non avrebbero poi modo di difendersi (riduzione dei servizi offerti dal Comune alla cittadinanza, aumento delle tariffe dei restanti servizi, aumento dell’aliquota dell’imposta comunale sugli immobili). Tali ulteriori provvedimenti possono certamente rendersi necessari, nel caso in cui realmente sussista lo stato di dissesto, ma non è irragionevole consentire ai residenti d’impugnare la dichiarazione di dissesto quando ne neghino il presupposto stesso, per esempio lamentando che si siano tralasciate poste attive o computate poste passive inesistenti o che le valutazioni finanziarie siano state altrimenti errate” (sez. V, sent. 17 maggio 2006, n. 2837; sent. 10 marzo 2022 n. 1711; cfr. anche TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, sent. 22 aprile 2015, n. 703).
Allo stesso modo va ritenuta la legittimazione dei consiglieri comunali in carica, quali amministratori dissenzienti, poiché il dissesto incide sull’esercizio del mandato in quanto ne consegue l’effetto di separare la gestione ordinaria dell’Ente (che continua ad essere affidata agli amministratori) dal pregresso (che, invece, diviene oggetto di una procedura vincolata ex lege sotto la responsabilità di un organo straordinario di gestione) e, dunque, sottrae alla competenza dei consiglieri comunali un rilevante spazio di gestione, peraltro costringendo l’Ente ad una serie di misure correttive che sono obbligatorie (come l’innalzamento delle aliquote della tassazione locale) e che incidono nella potestà di autorganizzazione e sull’autonomia di governo del Comune, così comprimendo ulteriormente le corrispondenti facoltà propositive e decisionali dei consiglieri comunali.
Nello stesso senso va riconosciuta la legittimazione degli ex consiglieri ed amministratori, dal momento che la deliberazione con cui si prende atto del dissesto finanziario dell’Ente comporta l’attivazione di una speciale indagine circa la posizione degli amministratori che, se riconosciuti da parte della Corte dei conti responsabili a titolo colposo o doloso del dissesto stesso, subiscono pesanti limitazioni quanto alla capacità di ricoprire incarichi pubblici e candidature (art. 245, comma 5, del TUEL): palese è, dunque, l’interesse dei consiglieri ad impugnare la deliberazione del dissesto finanziario quando quest’ultimo è prospettato come scaturente dalla gestione amministrativa pregressa che li riguarda come ex amministratori di maggioranza, fermo restando che l’accertamento effettivo delle responsabilità del dissesto dipende, comunque, dal giudizio della Corte dei Conti, nei modi e tempi da essa azionati.
Peraltro, per il caso di accertamento di responsabilità per il dissesto la normativa prevede fino a dieci anni di interdizione dalle cariche di assessore, revisore di conti e rappresentante dell’ente locale presso altri enti (che siano istituzioni od organismi pubblici e privati) e incandidabilità alle cariche di sindaci e presidenti di provincia, della stessa durata; agli stessi soggetti, ove giudicati responsabili, viene imposta una sanzione pecuniaria, incassata direttamente dall’ente in dissesto, pari ad un minimo di cinque fino ad un massimo di venti volte la retribuzione mensile lorda percepita dagli amministratori al momento della violazione.