La decisione di ricorrere ad una transazione con il creditore del Comune: il warning della Corte dei conti
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza contabile (cfr., recentemente, Corte dei conti, sez. reg. di controllo per il Lazio, delib. n. 90/2022/PRSP, depositata lo scorso 20 luglio), la scelta di un ente pubblico di addivenire ad una transazione deve essere riconducibile ai canoni di razionalità, convenienza, logica e correttezza gestionale, avendo sempre riguardo ad una imprescindibile valutazione della cura concreta di interessi pubblici e, quindi, di una migliore cura dell’interesse intestato all’Ente.
La scelta se proseguire un giudizio o addivenire ad una transazione e la concreta delimitazione dell’oggetto della stessa spetta all’Amministrazione nell’ambito dello svolgimento della ordinaria attività amministrativa e come tutte le scelte discrezionali non è soggetta a sindacato giurisdizionale, se non nei limiti della rispondenza delle stesse a criteri di razionalità, congruità e prudente apprezzamento, ai quali deve ispirarsi l’azione amministrativa.
Uno degli elementi che l’ente deve considerare è sicuramente la convenienza economica della transazione in relazione all’incertezza del giudizio, intesa quest’ultima in senso relativo, da valutarsi in relazione alla natura delle pretese, alla chiarezza della situazione normativa e ad eventuali orientamenti giurisprudenziali (cfr. delib. n. 65/2020/PAR, sez. reg. di controllo per la
Lombardia). Sarà, dunque, foriera di potenziale responsabilità erariale una transazione che abbia ad oggetto, a titolo esemplificativo, una pretesa, nei confronti di una Pubblica amministrazione, manifestamente infondata, oppure una transazione riguardante un credito prescritto o, ancora, una transazione caratterizzata da condizioni manifestamente svantaggiose per l’Amministrazione.
Da ultimo, si evidenzia che, secondo quanto affermato dalla Corte dei conti, sez. giurisdizionale per la Lombardia, nella sent. n. 196/2019, se a transigere è un soggetto pubblico, i parametri valutativi sono decisamente più ristretti e maggiormente, se non quasi esclusivamente, ancorati a risparmi di spesa (sia gestionali che per contenziosi), a tutela delle casse pubbliche e della collettività che vi contribuisce finanziariamente.
Un ente pubblico non gode dunque di un arbitrio transattivo, riconoscibile ad un privato, ma deve pur sempre avere come parametro l’equilibrio di bilancio che impone una attenta e oculata valutazione delle poste in transazione; ciò in considerazione nel necessario rispetto di regole che si pongono a presidio di garanzie costituzionali di buon andamento e di integrità delle finanze pubbliche che esprimono tutela finale dei diritti dei contribuenti e dei cittadini tutti (art. 97 Cost.).