Consigliere comunale vicepresidente di una società aggiudicataria di un appalto dell’ente locale: nessun conflitto di interessi
La circostanza che un consigliere comunale sia anche vicepresidente di una società aggiudicataria di un appalto da parte del Comune non rileva ai fini di un conflitto di interesse, considerato che la qualità di “politico” non consente di svolgere, in una gara di appalto, né in astratto né in concreto, alcuna funzione nella gestione amministrava, spettante esclusivamente, ai sensi dell’art. 107, comma 3, lett. b), del TUEL (Decreto Legislativo n. 267/2000) ai dirigenti comunali, in applicazione del fondamentale principio della netta separazione tra la funzione di indirizzo politico-amministrativo, di competenza degli organi di governo, e la gestione amministrativa: è quanto evidenziato dal TAR Puglia, Lecce, sez. II, nella sent. 1° giugno 2022, n. 930.
Come è noto, ai sensi dell’art. 7 del DPR n. 62/2013 e dell’art. 42, commi 2 e 3, del Codice dei contratti pubblici (Decreto Legislativo n. 50/2016), si ha conflitto di interesse tale da determinare l’esclusione di una concorrente dalla gara, quando il personale della stazione appaltante è nelle condizioni – giuridiche o di mero fatto – di influenzarne il risultato, avendo un qualsiasi interesse personale (che la norma qualifica come “finanziario, economico o altro”), ovvero qualora verta comunque in una condizione di non neutralità rispetto all’esito del procedimento di selezione.
A tali fini, il Codice degli appalti presume quali condizioni di conflitto di interesse le situazioni che comportino l’obbligo di astensione di cui all’art. 7 del DPR n. 62/2013 (ovvero interessi propri o di parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi o persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale e così via), la sussistenza delle quali comporta il dovere di segnalazione alla stazione appaltante ed il dovere di astenersi dalla partecipazione alla procedura di gara.
Nel caso specifico, proprio in ragione della netta separazione fra atti politici ed atti gestionali non è possibile ritenere sussistente un conflitto di interesse nel consigliere comunale che è, al contempo, vicepresidente di una società che si è aggiudicata un appalto bandito dal medesimo Comune.
Infatti, secondo un noto orientamento giurisprudenziale, le norme in materia di conflitto di interessi contenute nel citato art. 42 del Codice dei contratti pubblici si applicano solo ai lavoratori subordinati della stazione appaltante e ai soggetti esterni che per conto dell’Amministrazione committente hanno curato la predisposizione degli atti di gara, cioè anche ai dirigenti ed agli amministratori di tali soggetti esterni, e la loro violazione non richiede la dimostrazione del vantaggio conseguito, essendo poste a tutela del pericolo astratto e presunto della potenziale lesione dei principi di imparzialità e/o di parità di trattamento nei procedimenti di affidamento di appalti pubblici (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sent. 11 luglio 2017, n. 3415; TAR Basilicata, sent. 20 marzo 2018, n. 194).
Del resto, tale netta separazione di funzioni risulta confermata anche dal fatto che il legislatore ha individuato nel Consiglio (nella sua generalità) l’organo di indirizzo e controllo politico-amministrativo dell’Ente, segnando, però, al contempo, una competenza limitata ad una serie di atti fondamentali annoverati nell’art. 42, comma 2, del TUEL, tra i quali non si rinviene alcuna prerogativa del Consiglio Comunale idonea ad influenzare le scelte degli uffici amministrativi in materia di bandi e gare.