Come ribadito dalla Corte dei conti, sez. giurisd. Calabria, nella sent. n. 116/2022, depositata lo scorso 20 maggio, la “parificazione” del conto dell’agente contabile è una dichiarazione certificativa, quale risultante procedimentale, della concordanza del conto con le scritture detenute dall’Amministrazione e costituisce il prius logico e giuridico per il deposito del conto giudiziale, che in tanto può essere depositato presso la Corte dei conti, in quanto sia stato previamente parificato.
Se la parificazione è una condicio sine qua non per il deposito del conto e l’instaurazione dei giudizi di conto presso le Sezioni Giurisdizionali della Corte dei conti, essa non può in nessun modo svuotare il contenuto del giudizio di conto, con la conseguenza che l’eventuale parifica non equivale a legittimità dell’attività dell’agente contabile.
Il giudizio di conto, disciplinato dagli artt. 137 e seguenti c.g.c., è espressione, nell’ambito della contabilità pubblica, del principio generale dell’ordinamento che impone a colui che gestisce denaro o valori altrui di dar conto del proprio operato al titolare degli stessi. Il giudizio di conto, quale strumento di garanzia di correttezza delle pubbliche gestioni a tutela dell’interesse oggettivo alla regolarità di gestioni finanziarie e patrimoniali, ha ad oggetto la gestione dell’agente contabile ed è finalizzato alla determinazione del corretto rapporto di debito/credito fra quest’ultimo e l’ente pubblico (Corte dei conti, sez. reg. Sardegna, 5 ottobre 2004, n. 481).
Le norme del codice prevedono la previa parifica del conto ai fini della corretta instaurazione del giudizio di conto ed è quindi evidente che la parifica in sé non può essere sufficiente ad attestare la legittimità della gestione, nel qual caso non avrebbe senso l’intero giudizio della Corte dei conti sul conto giudiziale, necessariamente già parificato.