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Accessibile la concessione di occupazione di suolo pubblico rilasciata al concorrente limitrofo

Un operatore economico che si ritiene leso dal rilascio ad un terzo di una concessione di occupazione di suolo pubblico (OSP) è legittimato a richiedere l’accesso alla relativa documentazione e l’inerzia del Comune sull’istanza è illegittima: è quanto affermato dal TAR Lazio, Roma, sez. II ter, nella sent. 14 aprile 2022, n. 4578.

Nel caso specifico, l’istante era la comproprietaria di un locale commerciale con due ampie vetrate prospicienti la via pubblica e lamentava che, nel locale limitrofo, un altro operatore economico esercitante la medesima attività di somministrazione di cibi e bevande aveva occupato gran parte della via pubblica con una pedana in legno, collocata anche dinanzi al locale dell’istante, su cui erano stati installati tavolini, sedie e ombrelloni. Secondo l’istante, quest’ultime installazioni costituivano un’indebita compressione della sua proprietà privata nonché un danno alla visibilità e all’immagine della propria attività commerciale, in quanto impedivano ai passanti di visionare le vetrate del proprio esercizio.

Secondo i giudici, nel caso specifico sussisteva l’interesse diretto, concreto e attuale dell’istante alla ostensione dei richiesti documenti (e non dunque un interesse meramente emulativo o potenziale), che originava dalla rappresentata e non contestata circostanza in fatto che vedeva l’interessata essere comproprietaria di locale commerciale e limitrofa di altro concorrente che, a seguito del rilascio di un’OSP a quest’ultimo, si ritrovava occupata anche lo spazio dinanzi le proprie vetrine.

Risultava, dunque, accertato il collegamento tra l’interesse e il documento, con la conseguenza che ogni ulteriore indagine sull’utilità ed efficacia del documento stesso in prospettiva di tutela giurisdizionale ovvero sull’esistenza di altri strumenti di tutela eventualmente utilizzabili è del tutto ultronea (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, sent. 9 marzo 2020, n. 1664; TAR Lazio, Roma, sez. II, sent. 19 marzo 2020, n. 3454).