Natura e finalità del fondo di garanzia debiti commerciali

Il comma 862 dell’art. 1 della Legge n. 145 del 2018 prevede che “entro il 28 febbraio dell’esercizio in cui sono state rilevate le condizioni di cui al comma 859 riferite all’esercizio precedente, le amministrazioni diverse dalle amministrazioni dello Stato che adottano la contabilità finanziaria, con delibera di giunta o del  consiglio di amministrazione, stanziano nella parte corrente del proprio bilancio un accantonamento denominato Fondo di garanzia debiti commerciali, sul quale non è possibile disporre impegni e pagamenti, che a fine esercizio confluisce nella quota accantonata del risultato di amministrazione, per un importo pari: a) al 5 per cento degli stanziamenti riguardanti nell’esercizio in corso la spesa per acquisto di beni e servizi, in caso di mancata riduzione del 10 per cento del debito commerciale residuo oppure per ritardi superiori a sessanta giorni, registrati nell’esercizio precedente; b) al 3 per cento degli stanziamenti riguardanti nell’esercizio in corso la spesa per acquisto di beni e servizi, per ritardi compresi tra trentuno e sessanta giorni, registrati nell’esercizio precedente; c) al 2 per cento degli stanziamenti riguardanti nell’esercizio in corso la spesa per acquisto di beni e servizi, per ritardi compresi tra undici e trenta giorni, registrati nell’esercizio precedente; d) all’1 per cento degli stanziamenti riguardanti nell’esercizio in corso la spesa per acquisto di beni e servizi, per ritardi compresi tra uno e dieci giorni, registrati nell’esercizio precedente”.

Ai sensi del successivo comma 863, “nel corso dell’esercizio l’accantonamento al Fondo di garanzia debiti commerciali di cui al comma 862 è adeguato alle variazioni di bilancio relative agli stanziamenti della spesa per acquisto di beni e servizi e non riguarda gli stanziamenti di spesa che utilizzano risorse con specifico vincolo di destinazione”.

Le disposizioni prevedono, dunque, l’obbligatoria istituzione di uno specifico fondo quando l’ente non rispetti i tempi di pagamento o non riduca a sufficienza lo stock di debiti commerciali; la disciplina di tale fondo indica il criterio di quantificazione e specifica che il relativo appostamento rifluisce sul risultato di amministrazione, accertato con l’approvazione del rendiconto.

Come è stato chiarito dalla Corte costituzionale (sentenza n. 78/2020), “il fondo da appostare in bilancio rappresenta (…) una soluzione contabile e gestionale funzionale a consentire all’amministrazione di disporre di liquidità necessaria a velocizzare i pagamenti delle proprie obbligazioni commerciali e a ridurre la relativa voce di debito residuo. Il meccanismo approntato impedisce di effettuare impegni di spesa e pagamenti a valere sulle somme accantonate nel fondo; ciò fa sì che, a fine esercizio, le relative economie di spesa rifluiscono nella quota libera del risultato di amministrazione e l’ente può utilizzare la giacenza di cassa in tal modo formatasi per pagare i debiti arretrati”.

Come evidenziato recentemente dalla Corte dei conti, sez. reg. di controllo per la Campania, nella recente delib. n. 4/2022/PAR, depositata lo scorso 21 gennaio, si tratta di un accantonamento – ulteriore rispetto agli altri fondi previsti dall’art. 167 del Tuel (D. Lgs. n. 267/2000) e dal principio contabile 4/2 – che di fatto limita la capacità di spesa degli enti locali, con l’obiettivo di garantire l’allineamento tra la capacità di spesa e la effettiva disponibilità di cassa. Pertanto, se è vero che – imponendo l’obbligatorio accantonamento nel fondo di nuova istituzione – le norme limitano la piena disponibilità delle risorse dell’ente in sede di predisposizione del bilancio e di programmazione della spesa, è tuttavia evidente che ciò rappresenta il coerente strumento con cui le disposizioni stesse hanno inteso porre un rimedio all’accertata violazione dei termini di pagamento. Difatti, quest’ultima patologica situazione consegue, di regola, al mancato coordinamento, nell’esercizio della autonomia gestionale e di bilancio dell’ente, tra la programmazione e l’impegno delle obbligazioni, legittimamente assunte e vincolanti, e la disponibilità di cassa necessaria alle previste scadenze di pagamento.

Oltre ad indurre l’ente a conseguire liquidità di cassa utile a velocizzare i pagamenti commerciali, lo strumento del fondo di garanzia realizza anche l’ulteriore e indiretto effetto positivo di ridurre l’esposizione dell’amministrazione a titolo di interessi passivi sui pagamenti tardivi.

Tenuto conto del criterio di quantificazione divisato dal Decreto Legislativo n. 231 del 2002, gli interessi moratori possono assumere dimensioni non trascurabili; pertanto, la loro diminuzione consente all’ente di recuperare risorse da destinare ad attività istituzionali.

È appena il caso di sottolineare come le norme istitutive del FGDC, nella citata pronuncia della Consulta, abbiano superato “il test di proporzionalità. Esse, infatti, si presentano congrue rispetto allo scopo legittimamente perseguito dal legislatore e approntano strumenti adeguati in relazione alla finalità di indurre l’ente a conseguire giacenze di cassa proprio per estinguere le obbligazioni che esso ha assunto” (Corte Cost., sent. n. 78/2020).

 

 

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